Vanity Fair (Italy)

Maurizio Cattelan, Mattia Feltri, Eshkol Nevo

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Razzismo, antirazzis­mo, parole grosse. Alla fine dei conti, sono i momenti piccoli a decidere. Ero al supermerca­to con mia figlia, la piccola. Come d’abitudine ogni venerdì. Passo a prenderla a scuola e andiamo a un ipermercat­o un po’ fuori mano, più economico. Mi aiuta a fare acquisti e alla fine le compro una barretta di cioccolato. È il nostro accordo. All’ingresso hanno pacchi giganti di carta igienica, ne prendo uno e lo appoggio nel carrello, così ha qualcosa di piacevole su cui sedersi. Dopodiché procediamo per i corridoi.

Non so cosa mi sia successo quel venerdì. Dovevo essere distratto. Non da pensieri particolar­mente importanti. A ogni modo, non mi sono reso conto che teneva il bordo del carrello con la manina. La mano sporgeva. Né mi ero reso conto che una persona con un altro carrello arrivava dalla direzione opposta.

L’incidente è accaduto vicino allo scaffale dei corn flakes.

Le dita della bambina sono rimaste schiacciat­e fra i due carrelli. Al primo momento non ha pianto. Si è morsa le labbra. Voleva comportars­i da coraggiosa. Poi è scoppiata in lacrime. Mostrami il dito, ho chiesto. In effetti c’era una piccola ferita. Le scendeva anche una goccia di sangue.

Una commessa è subito apparsa da chissà dove. Era in divisa. I capelli nascosti da un fazzoletto. La fronte solcata dalle rughe. L’accento inconfondi­bile.

Ha accarezzat­o i capelli di mia figlia, l’ha confortata con parole gentili e ha chiesto a un’altra commessa di portare in tutta fretta un cerotto.

Mentre aspettavam­o, si è rivolta a mia figlia. Le ha detto che era bellissima. Proprio coraggiosa. Le ha raccontato una storia buffa su una giraffa. Mia figlia ha sorriso. Ha smesso di piangere.

È tornata la seconda commessa con il cerotto. L’ho avvolto intorno al dito di mia figlia. Delicatame­nte. Mia figlia si è asciugata le ultime lacrime rimaste sulle guance.

Ho ringraziat­o la prima commessa, la più anziana. Quella con il fazzoletto in testa. E anche la seconda, la giovane. Ho congiunto le mani in segno di gratitudin­e. E sentito il cuore allargarsi nel petto. Come a occupare più spazio.

Solo quando ci siamo allontanat­i dalle due commesse mia figlia ha chiesto: papà, perché quella donna parlava strano? Non parlava strano, ho risposto. Aveva l’accento arabo. Tutto qui. È araba.

Anche quella che ci ha portato il cerotto era araba? Sì, ho spiegato. Mi ha fissato con quello sguardo che le viene sempre quando sta assimiland­o nuove informazio­ni e ha detto: era gentile. Sì, era gentile, ho risposto. Poi non ne abbiamo più parlato. Le ho comprato due barrette di cioccolato invece di una soltanto, e lei era tutta contenta. Abbiamo pagato la spesa alla cassa e l’abbiamo infilata nel bagagliaio. Siamo ripartiti verso casa, in silenzio.

Razzismo, antirazzis­mo, parole grosse. Alla fine dei conti sono i piccoli momenti a decidere, spero.

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