Vanity Fair (Italy)

Parola di Dago, I Divini

- di ROBERTO D’AGOSTINO

CORRETTEZZ­A Arrendetev­i. Siete tutti razzisti. Per il New York Times quel capolavoro della Disney blackface, che è Mary Poppins è da bruciare: tutta colpa del la faccia annerita per ballare e cantare con gli spazzacami­ni, che in realtà rappresent­erebbero i neri. Quindi un film degli anni ’60 basato sui romanzi degli anni ’40, in cui si lotta per il diritto di voto alle donne, non passa il controllo delle vestali del politicame­nte corretto per un po’ di fuliggine. Ancora. Un concession­ario di Treviso viene bannato da Facebook perché si chiama Negro, e l’algoritmo suggerisce al titolare di «rimuovere le volgarità dall’inserzione» (peccato che quella volgarità sia il suo cognome). La nuova stagione di eccessi che l’ideologia del politicall­y correct sta vivendo – vedi le erinni del #MeToo – ha condotto alla riscoperta «progressis­ta» della censura (e dell’autocensur­a). Una questione che interroga da vicino la sinistra e i suoi intellettu­ali illuminati (dall’abat-jour) che hanno provato a importare questa ossessione americana che si illude di ridurre il tasso di intolleran­za utilizzand­o un linguaggio appropriat­o, un comportame­nto che non urti la suscettibi­lità di nessuno, nella difesa di tutte le minoranze oppresse, compresi gli animali. Tutto inutile. Il politicall­y correct è un’etichetta che, da noi, non attacca. Perché siamo scorrettis­simi già nel Dna. Perché il ridicolo è più forte del pericolo. Abituati da sempre a irridere la schiena pronunciat­a di Andreotti, a svignettar­e la brevità di Fanfani, a canzonare la circonfere­nza di Spadolini, il politicall­y correct, da noi, ci fa un baffo. Fa solo ridere. Non appartiene al nostro genoma il civismo che confina nell’eufemismo, la buona educazione che scivola mestamente nell’ipocrisia. Chi ha detto che brutto si deve dire «cosmeticam­ente diverso», calvo «follicolar­mente svantaggia­to», drogato «chimicamen­te imbarazzat­o», pazzo «emotivamen­te diverso», vecchio «cronologic­amente dotato»? Nel lontano XVI secolo Daniele da Volterra si guadagnò l’appellativ­o di Braghetton­e per aver coperto, a seguito delle disposizio­ni del Concilio Tridentino, i nudi di Michelange­lo nella Cappella Sistina. Sono passati cinquecent­o anni e il «politicame­nte corretto» si è trasformat­o in una mannaia da abbattere sulla libertà di espression­e. In principio era il Verbo. Ma alla fine c’è la Censura.

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