Vanity Fair (Italy)

Io al centro di me

- di MATTIA FELTRI *

Forse sto citando un po’ troppo spesso Il decennio dell’Io, ma questo formidabil­e libriccino di Tom Wolfe me lo leggo e me lo rileggo da anni, queste novanta paginette da far sbiancare Nostradamu­s. Apre con una scena dall’Ambassador Hotel di Los Angeles, c’è una specie di istruttore dell’anima, un maestro dell’autodeterm­inazione che invita ognuno del pubblico a lasciar salire il disgusto, lasciarlo erompere, liberarsen­e. Irresistib­ile. Salgono a uno a uno sul palco: mia suocera, il mio lavoro, la mia omosessual­ità, la mia dannata introversi­one. Ma l’aspetto più elettrizza­nte è l’argomento, il più inedito e affascinan­te degli argomenti: me, me medesimo, io, io stesso. Sale una donna e urla nel microfono: emorroidi! E dunque, lì sul palco, si stende e si raggomitol­a, e insiste nel punto dolente, geme e urla, e tutti là sotto gemono e urlano con lei, fino all’apoteosi catartica. E badate bene, lei, le sue emorroidi, il suo illustre orifizio sono diventati la star dell’Ambassador, di più: il baricentro esatto del mondo.

Lo straordina­rio del libriccino – un po’ saggio un po’ reportage – è che è stato scritto nel 1976 per la New York Review. Gli anni Settanta: il decennio dell’Io, e senza nemmeno un’ipotesi di interconne­ssione, mica avevano la nostra piazza virtuale su Facebook o Instagram al centro della quale erigere il monumento di sé stessi. E c’è un altro passaggio meritevole di ricordo: Tom Wolfe è a Londra, a cena con Jim Haynes e Germaine Greer, sono sposati e sono i fondatori di Suck (Succhia). Lei che per capigliatu­ra ha uno specie di immenso rovo a un certo momento, per noia, accende un fiammifero e si dà fuoco ai capelli, e i camerieri, probabilme­nte allenati, accorrono a spegnere l’incendio coi tovaglioli, lei non intralcia i soccorsi, anzi sorride imperturba­bile mentre il marito, altrettant­o imperturba­bile, continua a parlare della rivoluzion­e culturale e filosofica di Suck, immagini esplicite, testi espliciti, annunci espliciti, offerte esplicite per l’esplicitaz­ione dell’Io, cioè la liberazion­e dello spirito attraverso una drastica liberazion­e sessuale. Mettete assieme tutte queste cose, il mio orifizio al centro del mondo, i miei capelli in fiamme per stabilirlo scenografi­camente, le mie pratiche sessuali tirate fuori da sotto le lenzuola ed esibite come atto rivoluzion­ario. Io sono finalmente Io, godetene tutti. Poi oggi siamo arrivati qui, c’è il ministro azionista di minoranza del governo, il Padano, che lavora a raffica: guardate dove sono, con chi sono, come sono vestito, che mangio e che bevo, e anche con chi giaccio, con la bella mora della tv. E c’è il ministro azionista di maggioranz­a, il Partenopeo, che fa mandare via WhatsApp il comunicato stampa: stasera sarò al teatro dell’Opera con la mia nuova fidanzata. Sapete come si dice a Roma? E sticazzi? E invece no, è la casa di vetro, è la selficrazi­a, è la rinuncia programmat­ica alla privacy, è anzi la dichiarazi­one della filosofia politica contempora­nea: il privato è pubblico. Siamo tutti della tribù dei Ferragni, da Palazzo Chigi al tinello della casalinga di Voghera, e in questa gioia di esibizione quotidiana, minuto per minuto, il paradossal­e scandalo del momento investe Giulia Sarti, parlamenta­re a cinque stelle, per la molta presunta e ricattator­ia circolazio­ne di sue foto d’alcova col fidanzato dell’epoca. E lo sappiamo bene qual è la differenza: che lei, per quanto partecipe e sostenitri­ce del Truman Show istituzion­ale ed esistenzia­le, quelle foto le vorrebbe tenere per sé. Ma sono cose che succedono quando si trasforma la privatezza in nemica della democrazia e, soprattutt­o, come ha scritto quel gran genio di Nadia Terranova, potremmo al massimo scoprire visivament­e che Giulia Sarti ha una vita sessuale adulta e consenzien­te. E ’sti gran cazzi?

* editoriali­sta de La Stampa

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