VITA DI UNA FEMMINISTA
Giudice americana e paladina della parità di genere. La storia di Ruth Bader Ginsburg arriva nelle sale
A usare la parola «icona» si fa quasi sempre peccato. Non nel caso di Ruth Bader Ginsburg, fresca ottantaseienne che quella dicitura la merita anche solo a guardarla: crocchia da madama, occhiali oversize, collane vistose come unica concessione alla vanità. Poi viene il ruolo: giudice della Corte Suprema
statunitense dal 1993 su nomina di Bill Clinton, è stata ancor prima una delle più ferventi pasionarie d’America. Specializzazione: la parità di genere. Nell’ultima stagione le sono stati dedicati due film. Uno è il documentario RBG, candidato all’Oscar e ancora inedito da noi: c’è la Ruth (vera) di oggi. L’altro esce ora e s’intitola Una giusta causa: c’è la Ruth (romanzata) di ieri. Al principio è una promettente studentessa di Legge a Harvard, poi giovane avvocatessa alle
prese con sentenze inique «on the basis of sex» («sulla base del genere sessuale», è il titolo originale del film). Tra un processo e l’altro, ha tempo d’innamorarsi di Martin, collega d’università minato dalla malattia. Mica semplici i biopic, quando c’è di mezzo Felicity Jones.
Dopo La teoria del tutto (era la moglie di Stephen Hawking), qua la biografia è lei: la somiglianza con l’originale non è spiccata, ma il piglio inappuntabile. Accanto a lei c’è Armie Hammer, marito di aperte vedute e belle sembianze: per una volta, era bello pure quello vero. La nota curiosa sta in sede di regia. Il film è firmato
Mimi Leder, autrice negli anni ’90 di blockbuster come The Peacemaker e Deep Impact. Quello era il suo modo di essere femminista: girare film da maschi (per capirci). Adesso, finalmente, può levarsi lo sfizio di una storia che femminista lo è smaccatamente, non bisogna più nasconderlo con gli effetti speciali.