Vanity Fair (Italy)

Liberi (ancora) di usare i social

Da mesi, alcuni gridano alla censura sul tema del copyright. Ora che una direttiva europea regola la materia del diritto d’autore in ambito digitale, abbiamo cercato di fare chiarezza. Cambia qualcosa, ma soprattutt­o per Zuckerberg e soci

- di FRANCESCA AMÉ

Il copyright sul web? Tutti calmi, se ne riparla tra due anni. Il Parlamento europeo ha appena approvato una direttiva sul diritto d’autore nel mercato digitale che chiede alle grandi piattaform­e di Internet e agli aggregator­i di notizie (YouTube, GoogleNews, Facebook) di vigilare sul copyright di quanto pubblicato e, di conseguenz­a, di remunerare equamente i creatori di contenuti (artisti, giornalist­i, scrittori). Una novità assoluta, nel far west del copia-e-incolla in Rete. Tra i nostri politici c’è chi plaude (Pd, FI) e chi grida alla censura (M5S, Lega). Di fatto, la direttiva è «strumento giuridico morbido»: non impone alcuna legge e i singoli Stati europei (Italia inclusa) avranno tempo fino al 2021 per far rispettare le indicazion­i di Strasburgo. «Due anni sul web sono un’era geologica», commenta Oliviero Ponte di Pino, esperto di editoria e digitale. D’accordo, tutto potrebbe cambiare, ma se la direttiva fosse applicata subito, che cosa cambierebb­e sul web e sui social? «Per i singoli utenti niente», risponde. Oggi nessuno si scandalizz­a per Spotify Free: l’utente non paga nulla, ma ha una playlist su cui la piattaform­a ha già pagato i diritti alle case discografi­che. Ogni condivisio­ne di notizie, video o foto costerà? «Non agli utenti. Niente link tax per gli amatissimi meme, gif, vignette satiriche e nemmeno per gli articoli giornalist­ici. Il 56% di persone in Europa che s’informa online gratis senza alcun abbonament­o ad alcuna testata continuerà a poterlo fare». Ma allora chi paga? «Spetta alle grandi piattaform­e (quelle con oltre 10 milioni di euro di fatturato annuo e oltre 5 milioni di utenti al mese) fare controlli preventivi per pubblicare solo contenuti in regola con il copyright ed eliminare ciò che non lo è: considerat­a la mole di dati, si useranno upload filter, ovvero sistemi automatici di verifica sui big data. I colossi che aggregano notizie (Facebook incluso) dovranno stringere accordi economici con i gruppi editoriali per poterne diffondere i contenuti». Wikipedia ha protestato contro la direttiva oscurando il sito lo scorso 25 marzo, alla vigilia del voto a Strasburgo: sarà costretta a chiudere perché non potrà sostenere i costi del copyright? «No, sono esclusi dal pagamento dei diritti d’autore tutti i prodotti open source, come la celebre encicloped­ia online gratuita, che resterà tale. Così come i siti dei musei, quelli accademici, quelli didattici e le start-up». Perché allora per alcuni la direttiva europea è una forma di censura? «Potremo continuare a citare, linkare e condivider­e tutto ciò che desideriam­o, ma se saranno i big player del gioco (Facebook, Google, Amazon) a dover preventiva­mente filtrare i contenuti grazie a precedenti contratti con autori ed editori – come? Non è dato saperlo: la Silicon Valley nicchia, ma è lecito pensare sia interessat­a a contattare solo i grossi gruppi editoriali –, tutte le realtà piccole e indipenden­ti potrebbero essere ancor più penalizzat­e sui social e sui principali motori di ricerca».

Sono esclusi dal pagamento dei diritti d’autore tutti i prodotti open source, come Wikipedia

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