Liberi (ancora) di usare i social
Da mesi, alcuni gridano alla censura sul tema del copyright. Ora che una direttiva europea regola la materia del diritto d’autore in ambito digitale, abbiamo cercato di fare chiarezza. Cambia qualcosa, ma soprattutto per Zuckerberg e soci
Il copyright sul web? Tutti calmi, se ne riparla tra due anni. Il Parlamento europeo ha appena approvato una direttiva sul diritto d’autore nel mercato digitale che chiede alle grandi piattaforme di Internet e agli aggregatori di notizie (YouTube, GoogleNews, Facebook) di vigilare sul copyright di quanto pubblicato e, di conseguenza, di remunerare equamente i creatori di contenuti (artisti, giornalisti, scrittori). Una novità assoluta, nel far west del copia-e-incolla in Rete. Tra i nostri politici c’è chi plaude (Pd, FI) e chi grida alla censura (M5S, Lega). Di fatto, la direttiva è «strumento giuridico morbido»: non impone alcuna legge e i singoli Stati europei (Italia inclusa) avranno tempo fino al 2021 per far rispettare le indicazioni di Strasburgo. «Due anni sul web sono un’era geologica», commenta Oliviero Ponte di Pino, esperto di editoria e digitale. D’accordo, tutto potrebbe cambiare, ma se la direttiva fosse applicata subito, che cosa cambierebbe sul web e sui social? «Per i singoli utenti niente», risponde. Oggi nessuno si scandalizza per Spotify Free: l’utente non paga nulla, ma ha una playlist su cui la piattaforma ha già pagato i diritti alle case discografiche. Ogni condivisione di notizie, video o foto costerà? «Non agli utenti. Niente link tax per gli amatissimi meme, gif, vignette satiriche e nemmeno per gli articoli giornalistici. Il 56% di persone in Europa che s’informa online gratis senza alcun abbonamento ad alcuna testata continuerà a poterlo fare». Ma allora chi paga? «Spetta alle grandi piattaforme (quelle con oltre 10 milioni di euro di fatturato annuo e oltre 5 milioni di utenti al mese) fare controlli preventivi per pubblicare solo contenuti in regola con il copyright ed eliminare ciò che non lo è: considerata la mole di dati, si useranno upload filter, ovvero sistemi automatici di verifica sui big data. I colossi che aggregano notizie (Facebook incluso) dovranno stringere accordi economici con i gruppi editoriali per poterne diffondere i contenuti». Wikipedia ha protestato contro la direttiva oscurando il sito lo scorso 25 marzo, alla vigilia del voto a Strasburgo: sarà costretta a chiudere perché non potrà sostenere i costi del copyright? «No, sono esclusi dal pagamento dei diritti d’autore tutti i prodotti open source, come la celebre enciclopedia online gratuita, che resterà tale. Così come i siti dei musei, quelli accademici, quelli didattici e le start-up». Perché allora per alcuni la direttiva europea è una forma di censura? «Potremo continuare a citare, linkare e condividere tutto ciò che desideriamo, ma se saranno i big player del gioco (Facebook, Google, Amazon) a dover preventivamente filtrare i contenuti grazie a precedenti contratti con autori ed editori – come? Non è dato saperlo: la Silicon Valley nicchia, ma è lecito pensare sia interessata a contattare solo i grossi gruppi editoriali –, tutte le realtà piccole e indipendenti potrebbero essere ancor più penalizzate sui social e sui principali motori di ricerca».
Sono esclusi dal pagamento dei diritti d’autore tutti i prodotti open source, come Wikipedia