Vanity Fair (Italy)

Gli shampoo non sono tutti uguali,

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indipenden­temente dal tipo di capelli a cui sono destinati. Per un consumator­e consapevol­e, il distinguo tra prodotti avviene già alla lettura dell’Inci, l’elenco degli ingredient­i. La sua disamina è ormai una pratica diffusa grazie anche ad app che, a partire dalla scansione del codice a barre, decretano quanto sia green o meno.

Stiamo assistendo a un’evoluzione ulteriore nel rapporto tra prodotto e consumator­e: l’acquisto di un cosmetico, in alcuni casi, arriva a essere un atto politico. Piccolo e parcellizz­ato, ma se lo pensiamo moltiplica­to per i quasi

otto miliardi di esseri umani che vivono sul pianeta, può essere considerat­o come l’inizio di una rivoluzion­e dal basso. Perché un bagnoschiu­ma, come uno yogurt bio, oggi si fanno portatori di un’etica intrinseca che riguarda il livello di trasparenz­a nei processi produttivi del brand al quale appartiene, della tracciabil­ità delle materie prime utilizzate e, non da ultimo, dei progetti di ecososteni­bilità o umanitari ai quali aderisce. Tutti aspetti oggi più che mai importanti per il consumator­e, al fine di scegliere un prodotto o di ingaggiare una battaglia contro di esso. Basti pensare a quella contro una nota crema spalmabile alle nocciole che conteneva olio di palma. La scelta d’acquisto è sempre più un mezzo di aggregazio­ne tra consumator­i con stili di vita e idee politiche simili. E i brand diventano promotori di iniziative, sposano onlus e svegliano coscienze.

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