PAROLA DI DAGO
TRASH Chi è più trash: i coniugi Tony e Tina, lui cantante neomelodico, lei vedova di un uomo ucciso dalla camorra, che hanno fatto a Napoli le nozze con il cocchio e le trombette secondo la loro sottocultura popolare (non pop), oppure chi invita ai sussiegosi e boriosi David di Donatello, gran passerella del cinemismo italico, l’influencer (de che?) Taylor Mega, una tipa che scippa i vestiti dall’album di foto di Cicciolina? Confondere la cultura autentica con l’intrattenimento da «David di Culatello», quello è il cattivo gusto perfetto, degenerazione arrogante di happy few, non il kitsch rococò e bifolco di Tony e Tina, che è una forma emotiva di pecoreccio mediterraneo, energia vitale da Piedigrotta aggiornata al Savastano style di Gomorra. Questo non è più il vecchio kitsch sdoganato da Gillo Dorfles decadi fa. Quello era tenero e sentimentale. Questo è aggressivo e punta sull’ostentazione. Nell’irresistibile ascesa del nuovo trash tutto sembra tenersi. I completini da sexyshop di Barbara D’Urso, le influencer cui mancano solo i fanalini rossi sulle natiche, lo stile strapaesano di Matteo Salvini. Ma nell’era dei social, l’Ultrash è diventato uno strumento di formazione del consenso, che va bene anche per alleggerire serate «impegnate». Per gli intellettuali, gente che possiede una biblioteca come gli eunuchi hanno un harem, la sottocultura burina deve essere invece rigore e sobrietà. Al contrario, la sottocultura popolare se ne frega e va d’accordo con il motto di Duchamp: «Fate quello che volete, ma non annoiatemi». Ecco: la parola trash, che fa tanto orrore, è la chiave, oggi, per entrare in contatto con lo Spirito del Tempo: per stare agganciati alla ruota dell’attualità occorre fare surf, stare in bilico sull’onda, arrivare alla riva prima possibile senza perdere tempo in concettualismi, astrattismi, intellettualismi. I nostri codici di riferimento sociale, i nostri vizi pubblici e vezzi privati, non hanno più origine dalle ideologie o dalle religioni, non germinano dal Bello o dal Brutto, dall’Alto o dal Basso, dall’Etica o dall’Estetica. Di più: Umberto Eco, scrittore e semiologo più radical-chic d’Italia, fu coautore nel 1970 del soggetto di un film sexy-trash di Pasquale Festa Campanile, Quando le donne avevano la coda, starring Senta Berger con la coda a penzoloni e la scena terribile di Paola Borboni nuda come un dinosauro. Non solo, Eco sistemò così i depositari del buon gusto-doc: «Parecchi responsabili di Auschwitz erano lettori di Goethe e ascoltavano Brahms. Non credo che la diffusione dell’informazione e della cultura contribuisca necessariamente al progresso del bene. Oggi la gente parla la sua lingua nazionale più correttamente, legge anche più giornali, più libri. Ciò non significa che l’umanità migliori. Né che ci siano meno cliché, stereotipi e sciocchezze».