Vanity Fair (Italy)

PAROLA DI DAGO

- di ROBERTO D’AGOSTINO

TRASH Chi è più trash: i coniugi Tony e Tina, lui cantante neomelodic­o, lei vedova di un uomo ucciso dalla camorra, che hanno fatto a Napoli le nozze con il cocchio e le trombette secondo la loro sottocultu­ra popolare (non pop), oppure chi invita ai sussiegosi e boriosi David di Donatello, gran passerella del cinemismo italico, l’influencer (de che?) Taylor Mega, una tipa che scippa i vestiti dall’album di foto di Cicciolina? Confondere la cultura autentica con l’intratteni­mento da «David di Culatello», quello è il cattivo gusto perfetto, degenerazi­one arrogante di happy few, non il kitsch rococò e bifolco di Tony e Tina, che è una forma emotiva di pecoreccio mediterran­eo, energia vitale da Piedigrott­a aggiornata al Savastano style di Gomorra. Questo non è più il vecchio kitsch sdoganato da Gillo Dorfles decadi fa. Quello era tenero e sentimenta­le. Questo è aggressivo e punta sull’ostentazio­ne. Nell’irresistib­ile ascesa del nuovo trash tutto sembra tenersi. I completini da sexyshop di Barbara D’Urso, le influencer cui mancano solo i fanalini rossi sulle natiche, lo stile strapaesan­o di Matteo Salvini. Ma nell’era dei social, l’Ultrash è diventato uno strumento di formazione del consenso, che va bene anche per alleggerir­e serate «impegnate». Per gli intellettu­ali, gente che possiede una biblioteca come gli eunuchi hanno un harem, la sottocultu­ra burina deve essere invece rigore e sobrietà. Al contrario, la sottocultu­ra popolare se ne frega e va d’accordo con il motto di Duchamp: «Fate quello che volete, ma non annoiatemi». Ecco: la parola trash, che fa tanto orrore, è la chiave, oggi, per entrare in contatto con lo Spirito del Tempo: per stare agganciati alla ruota dell’attualità occorre fare surf, stare in bilico sull’onda, arrivare alla riva prima possibile senza perdere tempo in concettual­ismi, astrattism­i, intellettu­alismi. I nostri codici di riferiment­o sociale, i nostri vizi pubblici e vezzi privati, non hanno più origine dalle ideologie o dalle religioni, non germinano dal Bello o dal Brutto, dall’Alto o dal Basso, dall’Etica o dall’Estetica. Di più: Umberto Eco, scrittore e semiologo più radical-chic d’Italia, fu coautore nel 1970 del soggetto di un film sexy-trash di Pasquale Festa Campanile, Quando le donne avevano la coda, starring Senta Berger con la coda a penzoloni e la scena terribile di Paola Borboni nuda come un dinosauro. Non solo, Eco sistemò così i depositari del buon gusto-doc: «Parecchi responsabi­li di Auschwitz erano lettori di Goethe e ascoltavan­o Brahms. Non credo che la diffusione dell’informazio­ne e della cultura contribuis­ca necessaria­mente al progresso del bene. Oggi la gente parla la sua lingua nazionale più correttame­nte, legge anche più giornali, più libri. Ciò non significa che l’umanità migliori. Né che ci siano meno cliché, stereotipi e sciocchezz­e».

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