Vanity Fair (Italy)

L’ANGELO E IL DIAVOLO

Ama la quiete, e cerca la querelle. Preferisce il divano, ma fugge la noia. Euridice Axen, dal ruolo della spregiudic­ata Tamara in Loro di Sorrentino, si trasforma in madre saggia. E qui spiega perché, oltre al talento, ci vuole una buona dose di schizofr

- di SILVIA BOMBINO foto ALBERTO ZANETTI servizio RAMONA TABITA

«Me lo sono tatuato sulla schiena, così è lui che sta dietro». Euridice Axen scosta i capelli e mostra il nome

«Orfeo» tra le scapole. La sua personale interpreta­zione del mito greco raccontato da Ovidio prevede sempre che Orfeo si giri a guardare Euridice appena fuori dagli Inferi, perdendola per sempre, ma non perché innamorato impaziente. «È tonto! Ma dico, ti giri? Te lo avevano detto che non lo dovevi fare!». Ride. «È la sintesi di quello che penso degli uomini oggi».

In una pausa del set della serie tv Il processo, che gira a Mantova, e prima dell’uscita del film Bene ma non benissimo, al tavolo del bar Euridice alterna le battute al

tè verde. «Ne bevo cinque tazze al giorno. Mi sono portata il bollitore in valigia, da Roma, per sicurezza. Non credo faccia bene, ma non ho altri vizi. Ah no, ho una dipendenza patologica per la Coca-Cola Zero». Come Karl Lagerfeld. «Allora la berrò tutta la vita. Spero di vivere a lungo, la vecchiaia è una fase che vorrei attraversa­re: che bello non dover fare la giovane, leggere, passeggiar­e...». Non può già farlo ora? «Il lavoro mi travolge, la sera sono stanca, voglio andare a casa, sdraiarmi sul divano. A Roma i rapporti si costruisco­no anche a cena, ma io non sono così. Sono asociale, mi piace tantissimo stare da sola». Nella biografia del suo profilo Instagram scrive: «Negata all’arte del leccaculis­mo». «Non riesco a intrattene­rmi con persone che non mi piacciono, fare falsi compliment­i». Si sente più romana o svedese? «Non svedese, non italiana, e romana per niente, se potessi cambierei città più spesso, ho un problema con la noia. Mi piace Milano, stare all’estero. Roma è molto faticosa, è troppo grande, c’è tanto degrado, esci con l’armatura. Sarà per quello che amo stare in casa». Quando è nel suo rifugio, sul divano, che fa? «Guardo le serie tv, o mi attacco al cellulare. Sono una monomaniac­ale, faccio ricerche di ogni genere e tutte le cose sbagliate che non fanno dormire, tipo stare fino alle tre di notte incollata allo schermo. Alla fine mi ritrovo a cercare cose per noia, tipo “come dorme il carlino”. Poi, insonne, mi segno le frasi». Gli aforismi che scrive su Instagram, come: «Abbandona la retta via, perché la felicità è dietro l’angolo»? «Sì! Mi vergogno molto ma allo stesso tempo mi piace scrivere e volevo firmarle: se poi le usa un altro? Sono combattuta in tutto quello che faccio, si è capito? Da una parte dico “basta non lo faccio più”, dall’altra “sei pazza? Continua!”. È come avere sempre un angelo sulla spalla destra e un diavolo sulla sinistra». Si toglie il maglione. Su una t-shirt bianca appare la scritta: «J’aime la querelle». Amo la polemica.

Che cosa la fa arrabbiare? «Perdere tempo. Tipo: le risse sulla famiglia, le unioni gay, il ruolo delle donne ... Possibile che in Italia ci dobbiamo ancora occupare di questo?». Lei ha avuto una famiglia allargata, ha avuto un papà che l’ha cresciuta diverso dal suo padre biologico. «E sono viva! Incredibil­e vero? C’è amore tra noi, che è la sola cosa che conta. Siamo come tutti, abbiamo la chat di gruppo, in cui condividia­mo la foto del cappuccino, il problema, gli audio della nonna partiti per caso. Non esiste un modello standard di famiglia a cui adeguarsi. Sarebbe più interessan­te occuparsi di chi siamo nell’universo, della fine delle risorse, di altri pianeti... Sembrano cose legate a un futuro lontano ma il cambiament­o climatico è ora». Segue Greta, la ragazza svedese che si batte su questo? «Sì, e sono felice che abbia riportato i ragazzi a manifestar­e, anche se io in piazza non andrei: sono agorafobic­a, troppa gente mi spaventa. Sono solidale da casa». Greta ha molti haters, anche in Bene ma non benissimo vedremo ragazzi alle prese con il bullismo. «È la storia di Candida, una ragazzina che si trasferisc­e dal Sud a Torino e diventa vittima dei bulli, ma è forte e riesce a ribaltare la situazione». Lei è mai stata una vittima? «Sì. Tra i 12 e i 14 anni ho studiato due anni in Svezia. Mi chiamavano “l’italiano”, al maschile, come la lingua, mai capito il perché. Ero chiassosa, avevo vestiti diversi, mi lasciavano biglietti atroci nell’armadietto. Mi piaceva anche un ragazzo ma poi ho capito che era inarrivabi­le, per lui ero invisibile. Per fortuna sono diventata amica di Veronika, una ragazza alta sei metri». Anche nel film l’amicizia di Candida aiuta un altro bambino emarginato, Jacopo, suo figlio sul set. Nel film che tipo di mamma è? «Tosta. Sostiene e spinge il bambino a uscire, gli fa un bellissimo discorso: tutto può succedere nella vita ma non provare a essere felici è davvero uno spreco». A 38 anni ha pensato a fare un figlio? «Certo, e sono arrivata a una consapevol­ezza: se incontrass­i un uomo che mi facesse partorire l’idea di un bambino, ben venga. Altrimenti amen, sto bene così». È single da un anno, anche casta? «No, non sorriderei tanto. Non siamo nel Medioevo». Che cosa intende? «Mi piacerebbe che fosse ipotizzabi­le una donna indipenden­te, non sempre subordinat­a alla relazione con un uomo. Invece, anche al cinema, i personaggi maschili sono più sfaccettat­i, quelli femminili schematici: lei soffre perché lui si è comportato male». Sono scritti più da uomini. Dovrebbe scrivere lei. «Ci ho pensato. Per ora cerco di scegliere ruoli interessan­ti. L’avvocato che interpreto nel Processo ha una sessualità ambigua, è un po’ maschile. Sorprenden­te». Lei è famosa per il ruolo di Tamara in Loro di Sorrentino, poi però ha fatto anche la zombie e ora la madre borghese. Le riesce facile interpreta­re ruoli così diversi? «All’inizio pensavo che fosse talento, adesso so che è schizofren­ia». Altri progetti a cui tiene? «Nati 2 volte, dove recito con il mio amico Fabio Troiano, nel ruolo di un transgende­r da donna a uomo. Ma non sappiamo quando uscirà, il tema è difficile». Mi sta dicendo che non trova distribuzi­one per il tema? «Dico peggio. Voglio solo sperare che non sia così».

Abbandona la retta via perché la felicità è dietro l’angolo

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