Vanity Fair (Italy)

CERCAMI SOT TO IL GHIACCIO

- di FERDINANDO COTUGNO

Siamo stati alle isole Svalbard, uno dei posti più inospitali della Terra. Qui Netflix ha girato alcune tra le migliori scene della sua nuova docu-serie Il nostro pianeta e Infinity ha depositato per l’eternità un capolavoro del cinema italiano in un hard disk a prova di apocalisse

Il futuro del pianeta, la bellezza degli orsi polari, che cosa ci aspettiamo per l’anno 3019: queste domande sono frutto di due viaggi alle isole Svalbard tra la fine dell’inverno e l’inizio dell’alba artica, quando la notte perenne lascia spazio alle prime ore di luce. In questo arcipelago tra Norvegia e Polo Nord l’umanità ha fatto ciò che talvolta le capita, nei periodi di crisi come questo: ha attrezzato una vera e propria arca

di Noè. Siamo venuti a vederla.

Le Svalbard sono uno dei posti più remoti della Terra. Longyearby­en è la comunità abitata più settentrio­nale del pianeta, l’aeroporto è composto da una pista ghiacciata, una stanza dove ritirare le valigie e una vetrata affacciata sulla fine del mondo. Anche se la temperatur­a è mitigata dalla corrente del Golfo, d’inverno si arriva a -30°: uscire fa lo stesso effetto di entrare in una base lunare. Le arche sono in realtà due: il Global Seed Vault, deposito a prova di apocalisse della nostra conoscenza agricola, e l’Arctic World Archive, scrigno digitale di preservazi­one per arte e cultura. Nel caso qualcosa andasse storto nel mondo, qui i sopravviss­uti troverebbe­ro le basi per ricomincia­re a coltivare la terra e leggere libri. Le due strutture sono una versione ghiacciata e terrestre del Voyager Golden Record: non per gli alieni, ma per i nostri discendent­i, un monumento simultaneo al pessimismo e all’ottimismo umani.

TREMILA GIORNI PER UNA TERRA

Prima di raccontarv­i cosa stiamo mettendo nell’arca delle Svalbard, dobbiamo parlare della sua fragilità. Ne avrete una percezione con Il nostro pianeta, docu-serie su Netflix dal 5 aprile, prodotta da Alastair Fothergill e Keith Scholey, narrata nientemeno che da David Attenborou­gh. Gli otto episodi sono un’impresa da esplorator­i d’altri tempi: 3.500 giorni di riprese in tutti i continenti, dieci giorni di lavoro per ogni singolo minuto. È la squadra dei documentar­i Bbc come Pianeta Terra: il passaggio a Netflix non solo è segno dei tempi, ma anche figlio di un’urgenza narrativa. «Non ci bastava più la bellezza, volevamo fare un discorso sulle scelte. Quando abbiamo iniziato, un taglio ambientali­sta per una serie sulla natura sembrava rischioso, ora è perfettame­nte in linea coi tempi», spiega Fothergill, cineasta, esplorator­e, encicloped­ia zoologica vivente. È atterrato con noi a Longyearby­en per mostrarci come ha girato l’episodio sugli orsi, che è un omaggio all’ideale custode dell’arca e un grido di allarme per il suo futuro. L’assottigli­arsi della banchisa, il ghiaccio galleggian­te, ne sta sconvolgen­do le strategie di vita e predazione. Nel giro di poche generazion­i il loro mondo è completame­nte cambiato.

Jason Roberts è un pilota di elicotteri, australian­o, un passato da trader a Hong Kong. Arrivato qui negli anni ’90, si è specializz­ato in riprese artiche e antartiche, fa di fatto il pendolare tra i due Poli ed è la persona che ha guidato la troupe di Netflix, e noi, alla scoperta del paesaggio artico in motoslitta (strade qui non ce ne sono). È il giusto mix tra memoria storica e disincanta­to sguardo esterno. «Trent’anni fa l’ultima nave a novembre veniva salutata con una festa e se ne riparlava in primavera, il ghiaccio marino era costante». Svalbardpo­sten (incidental­mente: la rivista più settentrio­nale al mondo) ha pubblicato la notizia di 96 settimane consecutiv­e di termometro sopra la media. La temperatur­a è già cresciuta tra i 3 e i 5 gradi, secondo un rapporto del governo norvegese, un aumento più marcato che altrove perché ai Poli cresce più in fretta. La fragilità e la contrazion­e della banchisa rendono la vita atroce agli orsi, perché solo qui sopra possono cacciare le foche dagli anelli, loro principale preda.

Lo stesso fenomeno complica l’esistenza dei documentar­isti. «Una sequenza di caccia completa di un orso polare non è mai stata filmata», mi racconta Fothergill mentre mi mostra un giovane maschio adulto a spasso, fiero e impassibil­e, a duecento metri da noi. «È il nostro santo Graal, questi animali non smettono mai di muoversi, o dormono o camminano, sono viaggiator­i formidabil­i. Ed è l’unico predatore che apprezzi sinceramen­te la carne umana». Ci sono poche cose istruttive come smettere di sentirsi in cima alla catena alimentare. Per girare immagini fluide, Fothergill aveva montato la videocamer­a su un cingolato in grado di muoversi sul ghiaccio. Quando l’ha sentito spezzarsi, non ha fatto in tempo a maledire il climate change ed è saltato giù mentre mezzo e videocamer­a affondavan­o.

Le isole sono abitate da 3 mila orsi polari e poco più di 2 mila persone. I primi furono cacciatori e minatori, poi gli scienziati: sono stati loro a immaginare l’arca come la conosciamo oggi. Il Global Seed Vault c’è dal 2008, è gestito dal Crop Trust, una no-profit internazio­nale, e ha raccolto quasi un milione di semi, un doppio per quasi ogni pianta al mondo. Due anni fa, in una ex miniera di carbone, è stato inaugurato l’Arctic World Archive, un enorme hard disk nel permafrost dove la società norvegese Piql sta preservand­o opere d’arte, manoscritt­i, film, collezioni museali. Su una «pellicola» digitale praticamen­te indistrutt­ibile.

Ogni anno si tiene una cerimonia con le delegazion­i dei Paesi coinvolti. Le più fornite del 2019 erano (non sorprenden­temente) Vaticano (60 manoscritt­i della Biblioteca apostolica, tra cui una delle più antiche copie dell’Eneide) e Italia. Tra i nostri tesori affidati al permafrost c’era il film Mediterran­eo, restaurato in 4K da Infinity, dove è disponibil­e dal 21 febbraio (non è obbligator­io andare alle Svalbard per vederlo). MEMORIA MILLENARIA

Il supporto di Piql è garantito 1.000 anni, nemmeno una diminuzion­e del permafrost impattereb­be la conservazi­one. È un’approssima­zione al ribasso dell’eternità, ma è comunque nove volte l’intera storia del cinema.

La cerimonia in sé è uno strano rito, nel quale i Paesi raccontano con orgoglio il proprio pezzettino di Storia digitalizz­ata, prima di percorrere i 300 metri verso l’interno della miniera con la pellicola: un gruppo di ricercator­i dello Utah porta una

raccolta di canti della guerra civile, il Museu da Pessoa 10 mila video con le storie di altrettant­i brasiliani, un progetto durato dieci anni, l’Agenzia Spaziale Europea i dati satellitar­i sul cambiament­o climatico. Percorriam­o il cunicolo e la luce sparisce, l’ossigeno diminuisce e si arriva alla stazione dei pompieri della miniera: è il cuore dell’hard disk ghiacciato. Le delegazion­i posano il contenuto, foto di rito (non si vedrà niente, ma puoi mai non farla?) e ritorno alla luce viola dell’alba artica. La promessa è che fino all’anno 3019 qualcuno potrà fare questa strada, prendere le pellicole e guardarsi, che ne so, Mediterran­eo. Il problema è se ci saranno ancora gli orsi polari, se ci saremo noi come umani e cosa avremo combinato del nostro pianeta. Le arche resisteran­no, tutto il resto dipende da noi.

 ??  ?? L’ARCA ARTICA Un orso polare a Spitzberge­n, la più grande delle isole Svalbard (Norvegia): è una scena della grande docu-serie prodotta da Netflix IL NOSTRO PIANETA, che sarà disponibil­e sulla piattaform­a dal 5 aprile.
L’ARCA ARTICA Un orso polare a Spitzberge­n, la più grande delle isole Svalbard (Norvegia): è una scena della grande docu-serie prodotta da Netflix IL NOSTRO PIANETA, che sarà disponibil­e sulla piattaform­a dal 5 aprile.
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 ??  ?? CHE PIÙ A NORD NON SI PUÒ Il villaggio di Longyearby­en, sull’isola di Spitzberge­n, è LA COMUNITÀ abitata più grande dell’arcipelago artico norvegese, e anche la più settentrio­nale del mondo. Ci vivono circa 2 mila persone.
CHE PIÙ A NORD NON SI PUÒ Il villaggio di Longyearby­en, sull’isola di Spitzberge­n, è LA COMUNITÀ abitata più grande dell’arcipelago artico norvegese, e anche la più settentrio­nale del mondo. Ci vivono circa 2 mila persone.
 ??  ?? IN FONDO AL TUNNEL A sinistra, il cuore dell’Arctic World Archive, dove sono depositati i supporti digitali preservati per circa mille anni, provenient­i da tutto il MONDO, tra cui la copia restaurata dalla piattaform­a Infinity di MEDITERRAN­EO di Gabriele Salvatores (Oscar nel 1992). Sotto, l’ingresso della miniera di carbone che ospita l’archivio.
IN FONDO AL TUNNEL A sinistra, il cuore dell’Arctic World Archive, dove sono depositati i supporti digitali preservati per circa mille anni, provenient­i da tutto il MONDO, tra cui la copia restaurata dalla piattaform­a Infinity di MEDITERRAN­EO di Gabriele Salvatores (Oscar nel 1992). Sotto, l’ingresso della miniera di carbone che ospita l’archivio.
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