IN TRENO CON AMLETO
Rileggere la tragedia di Shakespeare per la prima volta dopo il liceo: una vera goduria
Se io dico Amleto voi dite «essere o non essere», ok. E poi? L’Amleto (sopra, Richard Burton in una rappresentazione del 1964) di Shakespeare è una di quelle opere così importanti e tanto rappresentate che non viene in mente di riprenderle in mano dopo gli studi o dopo averle viste a teatro. Io per esempio non lo leggevo dal liceo. Invece rileggere Amleto è una goduria, non saprei come dirlo diversamente. Consiglio di comprarne un’edizione economica con testo inglese a fronte – quella Feltrinelli per esempio –, armarsi di matita e portarsela in viaggio. Io l’ho preso in stazione: a casa ne avrò avute quattro edizioni, ma quel giorno Amleto mi ha chiamato, come fanno i libri, che decidono loro quando è il momento di esser letti o riletti. Nell’Amleto c’è tutto: amore, odio, riso, pianto, vita, morte, gioia, dolore, pazzia, ragione, amicizia, famiglia, tutto! E certi versi che ti inchiodano, come sono belli riletti in inglese. E come sono attuali. Chi ci crede che sono stati scritti nel 1600, come diavolo ha fatto quel teatrante scapestrato, che a diciotto anni dovette
sposarsi per aver messo incinta una donna di ventisei, a scrivere le tragedie, le commedie, i sonetti più belli di sempre? Amleto è un personaggio dolorosamente poetico e
raffinato. È stato interpretato da molti grandi attori in modo diverso ma è soprattutto l’emblema dell’uomo moderno senza più certezze che si chiede il significato di ogni cosa, che dubita di tutto, così intelligente, consapevole e sensibile da rischiare la paralisi per troppa profondità. Il primo atto, che si apre sugli spalti del castello di Helsingør con lo
spettro del re di Danimarca che circola nella notte gelata, emoziona come un film di paura: ma è da quando arriva in scena Amleto, con la sua complessità e il suo dire disperato e sottile, che non possiamo più staccarci da quei versi. Le tre ore di treno da Milano a Roma a me sono volate. Tra le tante frasi celebri come «in cielo e in terra ci sono più cose, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia», ne ho sottolineata una che è il manifesto stesso del teatro: «Il teatro è la cosa con cui metterò in trappola la coscienza del re».