Vanity Fair (Italy)

Karlstejn

- GEOGRAFIA DELLE EMOZIONI — di ESHKOL NEVO

Avevo intenzione di farle la proposta di matrimonio a Praga.

Ho preparato l’anello. Ho scritto un augurio su un foglietto, l’ho piegato e nascosto nel marsupio. A quei tempi usavano ancora i marsupi.

Abbiamo comprato un’offerta volo+albergo. L’agenzia ci ha detto che l’albergo era vicino al centro città. Ma quando siamo arrivati abbiamo visto che si trovava in un quartiere industrial­e davverosqu­allido. E che la nostra stanza era arredata in modo davverodep­rimente. E che per arrivare in centro ci voleva il treno.

Abbiamo finto di non essere delusi.

Ma anche la stazione del treno era triste. Comunista. E così pure Praga. Non so. Non riuscivo a credere a quella città.

Camminavam­o da una piazza all’altra nella città vecchia e io aspettavo il momento adatto per offrirle l’anello.

Ma il momento non arrivava. C’erano turisti ovunque. Mi sentivo pervadere da una sensazione di errore. Voglio dire, non solo Praga mi pareva un errore. Forse anche l’idea di chiederle di sposarmi era un errore. Forse tutte le separazion­i e i riavvicina­menti non erano stati casuali. Eravamo destinati a separarci tanto quanto a stare insieme.

Lei se l’aspettava, che glielo proponessi a Praga. Non era stato detto nulla di esplicito, ma una sera l’ho sentita, o ho avuto l’impression­e di sentirla, dire a un’amica per telefono «penso che succederà a Praga».

Non è accaduto neanche il secondo giorno. L’atmosfera fra noi si faceva sempre più tesa, ogni momento più pesante.

Lei ha cominciato a sentirsi poco bene. Dolori sparsi. In varie parti del corpo.

Poi, la mattina del terzo giorno, ha detto che non le andava di visitare la città. Aveva mal di testa.

Sicura? Ho chiesto, ricadendo anch’io all’indietro sul letto. Ci sono ancora diversi musei da…

Praga non mi piace, ha abbassato gli occhi. Ecco. Ormai l’ho detto.

In effetti, nemmeno a me, ho riso sollevato. E ho pensato: è proprio questa la ragione per cui mi volevo sposare con lei. È incapace di fingere a lungo.

E già che ne stiamo parlando, ha aggiunto, questo albergo è orrendo.

Andiamocen­e, allora, ho osato.

D’accordo, ha sorriso. E ho pensato, è proprio questa la ragione per cui mi volevo sposare con lei: non ha problemi a ribellarsi a programmi prestabili­ti.

Abbiamo aperto la guida − a quell’epoca si usavano ancora le guide turistiche − e ho cercato nel capitolo «Gite fuori città». Nel giro di un’ora eravamo sul treno per Karlstejn. Appena usciti da Praga, abbiamo ripreso a respirare. Ricordo colline verdi lungo la strada. Colline e poi ancora colline. Ricordo che quasi non ci siamo parlati. Ma era un silenzio rilassato. Almeno, a me pareva un silenzio rilassato.

Dalla stazione del treno del paese in mezz’ora di cammino si arriva al famoso castello di Karlstejn. Ci siamo arrampicat­i tenendoci per mano. Quasi soli sul sentiero. Dopo siamo tornati in paese. C’era un ristoranti­no. Ricordo che abbiamo ordinato dei funghi. Squisiti. E che a un certo punto mi ha fatto notare che il ristoranti­no era anche un piccolo albergo.

E se ci fermassimo a dormire a Karlstejn, chiedevano i suoi occhi.

Ma abbiamo già pagato l’albergo a Praga, ho esitato ad alta voce.

Dunque? Ha detto. E ho pensato: è proprio questa la ragione per cui mi volevo sposare con lei. Per lei i soldi sono un mezzo, non un fine.

Insieme al conto abbiamo ordinato una bottiglia di vino rosso e ce lo siamo portato su, nella nostra nuova stanza. La tenda sventolava, ricordo. Entrava una brezza leggera. Ci siamo seduti sul letto e ci siamo passati la bottiglia. A ogni sorso aveva le guance più arrossate. I miei dubbi diventavan­o sempre più inconsiste­nti. Mi sono chinato su di lei, ci siamo baciati a lungo, appassiona­tamente, e ho pensato: è proprio questa la ragione per cui mi volevo sposare con lei. Ho estratto il bigliettin­o dal marsupio e gliel’ho letto. Poi ho preso la scatoletta con l’anello e ho chiesto: vorresti sposarmi?

Lei si è fatta seria e ha risposto: non lo so. Ci devo pensare.

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