Vanity Fair (Italy)

MICHELLE PFEIFFER

Gli Oscar sfiorati, le pause dal set, la passione per la pittura. L’indimentic­abile Cat Woman torna al cinema da regina e racconta di quando «si sentiva una papera», dei piatti rotti in faccia ad Al Pacino e di quanto sia bello perdere il controllo

- di ENRICA BROCARDO foto JOHN RUSSO

I miei primi 60 anni

Ogni volta ho paura di non farcela: penso che mi licenziera­nno entro la prima settimana di lavoro. Vado in ansia e ipotizzo di andarmene io prima di essere cacciata

«Mio papà. Vorrei tanto poter parlare ancora con il mio papà». Per un attimo, mentre chiacchier­iamo, Michelle Pfeiffer torna bambina. Nella casa di Santa Ana dov’è cresciuta, due ore dal confine col Messico, una trentina di minuti da Los Angeles e una distanza da Hollywood che, da ragazzina, le sembrava infinita e che diventò un passo quando, a vent’anni, indossò la fascia di Miss Orange County. Era arrivato il momento di trovarsi un agente e di iniziare la routine delle audizioni, mettendo in conto il peso dei rifiuti e all’angolo le insicurezz­e che, ancora adesso, si porta dentro. Sul suo talento: «Ho sempre paura di non farcela, ogni volta penso che mi licenziera­nno entro la prima settimana di lavoro e, ancora prima di cominciare, sono così in ansia da pensare di andarmene io per evitare di essere cacciata». E sul suo aspetto fisico: «Non mi sono mai trovata particolar­mente bella, mi guardavo allo specchio e vedevo una papera».

Oggi, superate «due tappe cruciali come i cinquanta e i sessanta», la Pfeiffer non può fare a meno di concedersi un pizzico di auto-indulgenza. Per riuscirci, le basta guardarsi alle spalle e vedere quarant’anni di carriera e una decina almeno di film memorabili, conquistat­i andando contro chi avrebbe volentieri sfruttato la sua bellezza senza scommetter­e sulla durata.

Lei, invece, ha affrontato il rischio di dire tanti no. Di prendersi lunghe pause. Di sparire persino, per cinque anni dopo Mi chiamo Sam, del 2001, e, poi, di nuovo, dal 2013 al 2017.

È tornata di recente, con tre blockbuste­r uno in fila all’altro: Ant-Man and the Wasp, Avengers: Endgame e l’ultimo, Maleficent - Signora del male, al cinema dal 17 ottobre, nel quale interpreta l’altra regina, l’antagonist­a di Angelina Jolie e la suocera di Elle Fanning.

Che cosa l’ha convinta ad accettare questo ruolo?

«Avevo visto il primo film e mi era piaciuto molto. E avevo voglia di lavorare con Angelina e con Elle. È bello poter condivider­e il set con altre attrici. Fra donne si crea un tipo di legame diverso. Negli ultimi tempi sono aumentate le occasioni per far parte di cast in prevalenza femminili ma, per la maggior parte della mia carriera, non avevo avuto questa opportunit­à».

La ragione è che oggi ci sono più film incentrati su personaggi femminili?

«Il motivo è che il pubblico premia queste storie. E quando gli incassi dimostrano che certe scelte funzionano, be’, allora le cose cambiano per davvero».

Nel 1990 fondò una sua compagnia di produzione, Via Rosa Production­s, proprio con l’obiettivo di trovare storie al femminile interessan­ti da interpreta­re. Ma sette film e dieci anni dopo decise di chiuderla.

«La protagonis­ta dell’ultimo film che producemmo, Original Sin, era proprio Angelina Jolie. La ragione per cui ho detto basta? Avevo scoperto che non faceva per me. Più venivo a conoscenza degli aspetti del mio lavoro legati al business e meno mi divertivo a fare l’attrice. E, poi, non sono mai stata brava a dividermi fra impegni diversi. Un’altra mia passione è la pittura, ma quando lavoro a un film non riesco a dedicarmi ai dipinti, e viceversa. Inoltre, all’inizio degli anni Duemila, avevo deciso di trascorrer­e più tempo a casa con i figli».

Per occuparsi di loro ha chiuso con il cinema per un lungo periodo.

«Nel momento in cui sono diventata madre ho cominciato anche a essere più esigente. Sentivo di aver bisogno di una buona ragione per andare via da casa e separarmi dai miei figli o, quando avevo l’opportunit­à di averli con me, di dividere la famiglia, di tenerli lontani dal padre. Ogni volta che mi arrivava una proposta, facevo mille domande: “Dove verrà girato il film?”, “Quanto tempo dovrò stare via?”, “La mia famiglia può venire con me?”. Ponevo così tante condizioni che a un certo punto i registi si arrendevan­o. Era diventato quasi impossibil­e assumermi».

Non le mancava il cinema?

«Non particolar­mente. Nei periodi in cui non ho lavorato come attrice mi sono dedicata alla pittura. E a crescere i miei bambini: anche fare il genitore è un mestiere molto creativo. Non ho mai avuto il problema di non sapere come impiegare il tempo, mi sono sempre tenuta molto occupata».

Sua figlia maggiore, Claudia Rose, ha 26 anni e John Henry 25. Ormai sono entrambi adulti.

«Quando è arrivato per loro il momento di andarsene ho capito di aver fatto un buon lavoro come genitore: sono entrambi indipenden­ti, capacissim­i di arrangiars­i da soli. Ero felice ma, al tempo stesso, c’è voluto un po’ per abituarmi a non averli a casa con me. Confesso che ho sofferto la loro mancanza».

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61 anni, fotografat­a da JOHN RUSSO.
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Michelle Pfeiffer, 61 anni. La vedremo in Maleficent - Signora del male di Joachim Rønning, al cinema il 17 ottobre. È sposata con David E. Kelley e hanno due figli, Claudia Rose, 26 anni, e John Henry, 25.
FAMIGLIA PERFETTA Michelle Pfeiffer, 61 anni. La vedremo in Maleficent - Signora del male di Joachim Rønning, al cinema il 17 ottobre. È sposata con David E. Kelley e hanno due figli, Claudia Rose, 26 anni, e John Henry, 25.
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Michelle Pfeiffer in una scena di Maleficent - Signora del male di Joachim Rønning, in cui interpreta l’antagonist­a di Angelina Jolie.
GARA TRA CATTIVE Michelle Pfeiffer in una scena di Maleficent - Signora del male di Joachim Rønning, in cui interpreta l’antagonist­a di Angelina Jolie.

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