GUERRE STELLARI
Dopo 40 anni, la saga più famosa di sempre volge al termine. Siamo andati sul set e ne abbiamo parlato con il regista, J.J. Abrams, e con il cast. Ecco cosa abbiamo scoperto sull’Ascesa di Skywalker, il nono e ultimo episodio di Guerre stellari. P.S. Tran
Tutto sull’ultimo episodio
Nel Sud della Giordania c’è una valle desertica, la Wadi Rum, chiamata anche Valle della Luna, dove si trovano antiche incisioni rupestri. J.J. Abrams ha scelto questo luogo dalla desolata bellezza per girare alcune scene di Star Wars: l’ascesa di Skywalker, il nono episodio della saga. E non è stata una scelta facile: Abrams e il suo staff hanno dovuto creare chilometri di strada nel deserto oltre a un piccolo villaggio che potesse ospitare il numeroso cast: il solo settore degli effetti speciali comprendeva 70 persone. Per non parlare delle tempeste di sabbia che costringevano a rifugiarsi nelle tende. Eppure queste difficoltà rappresentano anche la forza del film: «Sono gli imprevisti, le imperfezioni, la sinergia tra la luce e l’ambiente a creare una sensazione di autenticità e a rendere il film potente», afferma Oscar Isaac, che recita nel ruolo di Poe Dameron, pilota della Resistenza.
La Disney punta a trasformare i film della saga di Guerre stellari in veri e propri momenti epocali. In questo caso non sarà difficile: L’ascesa di Skywalker non è solo l’ultimo capitolo della trilogia iniziata nel 2015 con Il risveglio della Forza, ma è l’ultimo film dell’attuale trilogia di trilogie, iniziata con il primissimo Guerre stellari del 1977: dopo 42 anni, L’ascesa di Skywalker segnerà la fine della saga.
Come molte cose diventate parte integrante delle nostre vite, Guerre stellari corse il rischio di non vedere la luce. Nel 1971 Lucas era un giovane regista con un unico lungometraggio alle spalle, THX 1138, L’uomo che fuggì dal futuro, un film visionario ma talmente austero che piacque solo ai francesi. Ci si aspettava che Lucas seguisse la strada del realismo degli anni ’70 al pari di colleghi come Brian De Palma e Francis Ford Coppola. In quel periodo, stava lavorando proprio con Coppola ad Apocalypse Now, ma alla fine rinunciò per dedicarsi alla creazione di una saga di fantascienza che chiamò The Star Wars. Come per The Facebook, nella strada verso il successo, ha dovuto sacrificare l’articolo.
Il progetto prese forma lentamente. Nella prima bozza, Luke era un vecchio, Leila aveva 14 anni e Han Solo era «un mostro dalla pelle verde senza naso e con grandi branchie». I dirigenti della Fox erano perplessi e c’erano tensioni con Lucas, sia sui tempi sia sul budget. Per il primo film ci si dovette arrangiare: gli alieni nella taverna non erano finiti e il monumentale caccia stellare che domina la scena iniziale in realtà è lungo meno di un metro. Gli interni della Morte Nera praticamente sono un unico set trasformato in vari modi. Eppure, il personaggio di Luke funzionava, aveva risvegliato qualcosa. La gente aveva bisogno di film che dessero qualcosa in cui credere. Avevamo avuto una dose sufficiente di antieroi. Era giunta l’ora degli anti-antieroi, di ricreare ottimismo: Guerre stellari è un lavoro permeato da un’intensa nostalgia, un inno che, dopo il Vietnam e il Watergate, ambisce al ripristino della verità e della forza nell’universo, al ritorno del re. Al tempo stesso è il viaggio intimo di un eroe, un giovane che deve porre rimedio ai peccati del padre e padroneggiare l’insolito potere che trova in se stesso, trasformandosi così in un uomo. Inoltre, Lucas riuscì a immaginare come potesse essere un mondo di fantascienza visto da qualcuno che ci viveva, rendendolo così normale e ordinario come quello a cui siamo abituati.
In seguito Lucas realizzò il primo sequel di Guerre stellari, L’impero colpisce ancora, e iniziò anche a parlare di una saga in nove parti, per cui nel 2012, quando si ritirò e vendette la Lucasfilm l’annuncio della Disney che avrebbe realizzato altri episodi non fu accolto come un’eresia e si aprì l’epoca Abrams.
Il suo film di esordio, Il risveglio della Forza, sembrava un raffinato omaggio all’originale: c’è una giovane sensibile alla Forza su un pianeta povero e desertico (Rey, interpretata da Daisy Ridley), che trova un droide con un messaggio segreto, decisivo per la Ribellione (l’attuale Resistenza). C’è un cattivo con una maschera nera, esattamente come Darth Fener, con la differenza che si tratta del nipote, Kylo Ren (interpretato da Adam Driver), il cui vero nome è Ben Solo, figlio di Han e Leila. Kylo possiede un’arma in grado di distruggere il pianeta, simile alla Morte Nera ma molto più grande, che diventa l’obiettivo di un temerario attacco da parte degli X-wing della Resistenza. C’è persino un bar pieno di alieni. Abrams punta anche a mantenere l’estetica della prima trilogia: gli alieni dovevano indossare lattice e avere capelli da yak, niente bit e byte, e tutto il possibile fu girato sul posto utilizzando videocamere analogiche invece che digitali.
Ma l’aspetto più interessante del Risveglio della Forza e del suo seguito, Gli ultimi Jedi, scritto e diretto da Rian Johnson, è il modo raffinato in cui i due episodi complicano la visione di Lucas. Dalla fine del Ritorno dello Jedi sono trascorsi trent’anni, in cui la Repubblica, appena rinata, diventa compiacente e politicamente stagnante, permettendo così l’ascesa del Primo Ordine, reazionario e neoimperialista, le cui origini saranno svelate in Skywalker. «È stato quasi come se i nazisti argentini si fossero riuniti e avessero iniziato a ridare forma al loro movimento», sostiene Abrams. Fu così che le regole dell’universo di Guerre stellari cambiarono.
E continuano a cambiare. Avvalendomi delle evolute tecniche di interrogatorio dei Sith, sono riuscito a ottenere in anteprima un’importante informazione sull’Ascesa di Skywalker. Eccola: emblema comune.
Anthony Daniels, che interpreta il ruolo di C-3PO, è l’unico attore ad aver recitato in tutti i nove film, quindi, se c’è qualcuno che può permettersi di far trapelare qualcosa su questo episodio, non può che essere lui. Daniels svela che
Dopo il Vietnam, dopo il Watergate, Guerre stellari incarna il desiderio di un ritorno alla verità
ha avuto difficoltà a memorizzare la sua parte. «La prima riga non mi entrava in testa. Era formata da due parole: emblema comune». Sul set, l’altro rappresentante della vecchia guardia era Billy Dee Williams, che interpreta il carismatico Lando Calrissian. A 82 anni, Williams non ha perso il suo fascino scanzonato, anche se adesso sembra più autorevole. Le persone tendono a ricordarlo per l’accordo con Fener nell’Impero colpisce ancora, piuttosto che per il suo ritorno salvifico nel Ritorno dello Jedi, e lui sembra aver trascorso gli ultimi 45 anni a difendersi: «È stato obbligato a commettere quel tradimento!». Nel ruolo di Chewbecca, al posto di Peter Mayhew, scomparso lo scorso aprile, c’è Joonas Suotamo, un ex giocatore di pallacanestro finlandese alto oltre due metri. «Mayhew mi istruì molto bene su Chewbecca, sui suoi gesti e sul ragionamento che ci sta dietro».
Altre cose che sappiamo su Skywalker: la Resistenza e il Primo Ordine si stanno avviando verso lo scontro finale, un’ardua impresa per i buoni poiché alla fine degli Ultimi Jedi, la Resistenza era in nettissimo svantaggio.
Tuttavia, il punto più caldo delle congetture è l’identità dell’eletto di Skywalker. Uno di essi è la generale Organa, l’ex principessa Leila e sorella di Luke, ma l’attrice che la interpreta, Carrie Fisher, è morta nel 2016. Per Abrams si è trattato di una perdita personale dolorosa che, tra l’altro, l’ha messo di fronte a una scelta impossibile. Aveva bisogno di Leila per raccontare la storia, ma sapeva che la Lucasfilm non intendeva assegnare la parte a un’altra attrice. Abrams si ricordò che c’erano ancora delle riprese video di Carrie Fisher scartate dal Risveglio della Forza. Decise di andarle a cercare. Il regista ha iniziato a scrivere alcune scene in base al contenuto di questi vecchi filmati, inserendo il dialogo di Leila in nuovi contesti. Ha riprodotto le luci. A poco a poco, Carrie ha trovato il suo posto nel nuovo episodio. Sua figlia, Billie Lourd, compare nei film nel ruolo di un ufficiale della Resistenza di nome tenente Connix. Inizialmente, Abrams l’aveva esclusa da queste scene, temendo che sarebbe stato troppo doloroso, ma Lourd si è opposta: voleva prendervi parte. «Ci sono dei momenti in cui loro due parlano e anche dei momenti in cui c’è un contatto fisico», racconta Abrams. «Non so come, ma il tutto ha funzionato».
L’unico altro membro vivente della linea di discendenza degli Skywalker è il figlio di Leila ed ex Padawan di Luke, lo Jedi decaduto Kylo Ren. Kylo probabilmente non è in grado di provare cosa sia la felicità, ma sembra che le cose per lui stiano migliorando: alla fine degli Ultimi Jedi, aveva assunto il controllo del Primo Ordine, ucciso il vero padre nonché entrambi i padri
In tutta la saga, l’Oscurità sembra provenire dalla paura: c’è chi teme il futuro, chi il passato
spirituali, Luke e il Leader Supremo Snoke. Nella saga di Guerre stellari, l’oscurità sembra provenire dalla paura: per Anakin Skywalker, il nonno di Kylo, si trattava della paura di perdere madre e moglie. Dopo due episodi, è ancora difficile capire esattamente cosa tema Kylo Ren. Ha una venerazione per il passato (ha persino costruito un tempio in onore di suo nonno), ma allo stesso tempo il passato lo tormenta. La sua sofferenza probabilmente ha avuto origine durante l’infanzia: forse essere il figlio delle due persone più ammirate della galassia non è divertente come può sembrare. Starà a lui scegliere se fare i conti con ciò che è stato o restarne schiacciato.
Se le trilogie di Lucas si basavano generalmente sull’albero genealogico degli Skywalker, i nuovi episodi ci presentano una nuova generazione di eroi. Naturalmente c’è Rey che, secondo quanto riportato da alcune fonti, ha quasi completato il suo percorso di formazione. Una volta terminato, le spettarà il compito di ricostituire da zero l’intero Ordine degli Jedi, di cui lei è l’ultimo membro. Se Kylo Ren non può essere redento, toccherà quasi sicuramente a Rey annientarlo, nonostante i due abbiano formato una sorta di legame. Il loro rapporto è la cosa che più si avvicina a una sfortunata storia d’amore, simile a quella tra Han e Leila: hanno tutto ciò che serve per comprendersi ma, al contempo, sono uno l’opposto dell’altra, basti pensare che Kylo rifiuta l’idea di famiglia, mentre Rey la desidera.
C’è anche Finn, lo Stormtrooper apostata, impersonato dall’irrefrenabile Boyega, che di persona vibra di energia e parla con un accento tipico del sud di Londra, molto diverso da quello americano sfoggiato nel film. In un certo senso, Finn sembra avere già chiuso il cerchio: ha fatto i conti con il passato eliminando il suo antico padrone, il capitano Phasma, ha acquistato coraggio e raggiunto un equilibrio morale. Ha sempre avuto la tendenza a farsi prendere dal panico nei momenti critici, ma durante la Battaglia di Crait ha dimostrato di avere superato tutto ciò. «Nell’episodio 8, non riusciva a decidere per quale squadra combattere. Ma da allora ha preso una decisione molto chiara», spiega Boyega (i membri del cast tendono a citare i film di Guerre stellari riportando il numero dell’episodio: l’episodio 4 è l’originale, il 7 è Il risveglio della Forza, e così via). Finn deve però ancora prendere una decisione in merito alla sua situazione sentimentale. Negli episodi si scherza spesso sul suo legame con il meccanico della Resistenza, Rose Tico, interpretata da Kelly Marie Tran. Tran è la prima donna americana di origini asiatiche a ricoprire un ruolo da protagonista in Guerre stellari. È stata oggetto di attacchi di stampo
razzista e sessista sul web. Tuttavia, è presto diventata una beniamina dei fan: quando è apparsa sul palco a Chicago, ha ricevuto una standing ovation.
Diciamo che l’intera saga sta ricevendo una standing ovation: è sempre più onnipresente. Tra il 1977 e il 2005, la Lucasfilm ha realizzato sei episodi, mentre quando uscirà Skywalker a dicembre, la Disney ne avrà prodotto cinque in cinque anni. E non si fermerà qui: il primo episodio della prossima trilogia, che vedrà al timone David Benioff e D.B. Weiss, il duo dietro al successo del Trono di spade, uscirà a Natale 2022, con ulteriori tappe ad anni alternati. Non solo, Guerre stellari continua a colonizzare tutti i tipi di media. Oltre ai videogiochi, ai fumetti, ai romanzi, ai cartoni animati, alle tonnellate di merchandising, sono due le serie tv live-action previste su Disney+, il nuovo servizio streaming della Disney: The Mandalorian, creata da Jon Favreau, e uno show su Cassian Andor di Rogue One, ancora senza titolo. Inoltre, lo sceneggiatore del Cavaliere Oscuro, David Goyer, ha scritto e prodotto un’esperienza di realtà virtuale denominata Vader Immortal. Infine, a maggio Disneyland inaugurerà la sua Star Wars: Galaxy’s Edge, l’area monotematica più grande della storia del parco divertimenti (quasi sei ettari). La versione Disney World aprirà in agosto.
Quando si parla dei vari episodi della saga, di solito ci si concentra su quanto siano fedeli agli originali. È più difficile invece stabilire in che misura siano diversi. Perché, a prescindere dal fatto che Guerre stellari sia cambiato o meno dal 1977, il mondo intorno alla saga è sicuramente cambiato. «Si è persa l’innocenza degli anni ’70», afferma la produttrice Kathleen Kennedy. All’epoca era quasi accettabile che ci piacesse Darth Vader: anche se era malvagio, restava comunque un figo pazzesco e il tipo di fascismo che rappresentava veniva percepito come un’ombra dal passato. Ma, ora che il fascismo sembra di nuovo in auge, questo personaggio ci ricorda quanto la dittatura sia tutt’altro che auspicabile nella vita reale.
I cambiamenti, però, possono anche rappresentare una sorta di liberazione. Soprattutto alla luce del fatto che se la saga non cambia finirà per morire. Per Abrams, questo significa affrancarsi dal fantasma di George Lucas e concedersi di essere se stesso. L’ascesa di Skywalker potrebbe rappresentare questo punto di svolta. «Mentre lavoravo all’episodio 9, ho capito che stavo adottando un approccio un po’ diverso», conferma il regista. Una cosa, in particolare, balza agli occhi: il modo in cui i nuovi episodi si rapportano alla storia. La saga diretta da Lucas è immersa nella tiepida luce rosata di un’idilliaca Vecchia Repubblica, un’epoca d’oro nel segno della civiltà. I nuovi episodi, invece, non guardano al passato, ma alla promessa del futuro. «Questa trilogia parla di una generazione di giovani che si trova a gestire quanto le è stato lasciato da chi è venuto prima», spiega Abrams. «Si tratta dei peccati commessi dai padri, delle conquiste di chi ha fatto grandi cose ma anche commesso atrocità. La nuova generazione sarà in grado di affrontare tale male indicibile? La posta in gioco è alta: la libertà».
È chiaro il collegamento con il 2019? Oggi non abbiamo forse un’intera generazione che si preoccupa del futuro? Guerre stellari non ha mai veicolato messaggi politici ma, per citare Ursula Le Guin, «la grande fantascienza non parla mai del futuro. Parla del presente».
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