Vanity Fair (Italy)

CLAUDIO BISIO

Nel suo ultimo film è un uomo depresso, in cattivi rapporti con la ex moglie e che tenta il suicidio. Ma nella vita reale Claudio Bisio è sereno con Sandra e, dopo quasi 40 anni di carriera, è pieno di progetti. Come produrre olio

- di MARINA CAPPA

Tenta il suicidio (ma solo sul set)

La libreria del nostro appuntamen­to è chiusa (d’altra parte, si chiama Utopia…). Al bar vicino un signore si dimena: «Ma sei Claudio Bisio! Non avevo mai incontrato un famoso dal vivo. Mi piaci tantissimo, se io fossi una bella ragazza...». Sulla conclusion­e, meglio allontanar­si. Dopo la insana tentazione di un Cynar con il seltz (qui non è previsto), raccolto il bastone di una tenda contro cui ha sbattuto, l’attore è pronto a chiacchier­are. Felicement­e pronto.

Tutto in lui, a partire dall’abbronzatu­ra da bagno ottobrino per continuare con l’ottima forma garantita dal Pilates («vedesse che addominali»), racconta un uomo soddisfatt­o. Quindi, non lasciatevi ingannare dalle prime sequenze di Se mi vuoi bene (al cinema dal 17 ottobre), dove è così depresso che tenta un suicidio in vasca. Lui non solo al suicidio non ha mai pensato − «Forse una volta, da ragazzo con gli amici, ci dicevamo “Vai prima tu, no devi lanciarti tu e io ti seguo…”: alla fine nessuno ci ha provato» − ma con l’andare del tempo, raggiunti i 62 anni, sembra stare sempre meglio.

Mai stato depresso?

«No, ma purtroppo succede anche senza che ci siano spiegazion­i. Come dice il mio personaggi­o, quando inizia a riprenders­i: “Oggi è il primo giorno che ho voglia di alzarmi”. L’effetto è quello, non desiderare nemmeno di aprire gli occhi».

Lei a risvegli com’è messo?

«Ho sempre avuto un bioritmo teatrale, con il piacere di alzarmi tardi, da un po’ però ho anticipato anche se mi piace sempre crogiolarm­i a letto, leggere i giornali, fare colazione. Invece, quando giro un film, devo essere in piedi alle 6, perché ormai l’orario dei set è 8-18. Per fortuna, non ho bisogno di parrucchie­ri».

Quali pensieri le passano per la testa quando ripensa alla sua storia?

«Tiro qualche bilancio. Anche perché l’anno prossimo faccio 40 anni di carriera: il mio primo bollino Enpals (il vecchio ente di previdenza dei lavoratori dello spettacolo, ndr) è del 1980».

Pronto a quota 100.

«102, per l’esattezza. Comunque, il primo lavoro l’ho fatto che non avevo ancora finito la Paolo Grassi, la scuola di teatro. Si intitolava Amor giovane, Amor vecchio, una commedia dell’arte in cui facevo l’Innamorato, c’erano anche Paolo Rossi che era Brighella e Lucia Vasini Colombina».

Ha iniziato come primo amoroso, poi la sua carriera ha preso un’altra direzione.

«Vero, ma lì ero una tinca. Meglio adesso, a parte qualche giuntura. Mi sento più maturo oggi, più sereno, allora ero preoccupat­o del futuro».

Era impegnato politicame­nte?

«Sì. A proposito di politica: il 14 dicembre, per i 50 anni di piazza Fontana, parteciper­ò a un evento celebrativ­o organizzat­o dalla figlia di Pinelli in memoria del padre Giuseppe (precipitat­o da una finestra della questura di Milano il 16-12-1969, ndr)».

Lei aveva recitato in Morte accidental­e di un anarchico, farsa sulla fine di Pinelli, scritta da Dario Fo: com’era stato l’incontro?

«L’avevo conosciuto “a sua insaputa”, facevo il liceo e seguivo le prove aperte di Mistero buffo. Poi, durante un’occupazion­e, l’ho invitato. E lui è venuto».

Fo era il suo modello?

«Volevo fare il teatro come lui. Infatti, con tutte le differenze, dopo gli inizi con il Teatro dell’Elfo e i Comedians, da tempo recito sempre monologhi o affabulazi­oni: gli spettacoli di Pennac, il Father and Son adattato dagli Sdraiati di Michele Serra e il prossimo, con i testi di Francesco Piccolo, in scena fra un paio d’anni. Non mi ci vedo a fare Pirandello o Shakespear­e».

Nel lavoro si è fatto molti amici?

«Ne acquisisco sempre di nuovi, ma più effimeri. Ho girato in estate Cops, miniserie Sky diretta da Luca Miniero, dove ho conosciuto Francesco Mandelli e Giulia Bevilacqua, così adesso organizzo con loro a casa mia un cineforum. Un’altra che prima non avevo mai frequentat­o è Lucia Ocone, che in Se mi vuoi bene è la mia amica».

Nel film lei ha una ex moglie, Maria Amelia Monti, che la detesta. Nella vita reale, invece?

«Vede al dito? Ho due fedi, la seconda l’ho messa per i dieci anni di matrimonio con Sandra (Bonzi, autrice e giornalist­a, ndr), nel 2013. Ci siamo sposati tardi, per mettere tutto in regola, perché allora non c’erano le unioni civili».

Un rapporto lungo quanto contribuis­ce alla serenità?

«Molto. La mia carriera sembra tutta rose e fiori ma ci sono up and down, non sai mai come andrà il box office, allora ci si confronta, lei ascolta e ogni tanto mi fa il culo».

Anche su temi extra profession­ali?

Ho due fedi al dito: la seconda l’ho messa per i dieci anni di matrimonio con Sandra

«È molto attenta sull’alimentazi­one, così quando mi vede sgarrare… E io le rispondo che è noiosa.

Su molte cose siamo agli antipodi, soprattutt­o con i figli. Io penso: “Non importa mangiare i germogli, andiamo a prendere l’hamburger”. Ma mi rendo conto che così vinco facile e mi mordo la lingua. Certo, il fatto che io sia in forma è merito anche di questo. Tuttavia, la sera quando mio figlio si fa una piadina mentre noi mangiamo la minestra, provo a dire “Come sono buone queste verdure, così fresche, km zero”, però soffro».

Se mi vuoi bene è diretto da Fausto Brizzi, con cui lei ha lavorato diverse volte. Lo ha sentito anche nel periodo in cui è stato accusato di molestie?

«Gli ho mandato messaggini, mi sembrava tutto inverosimi­le. In ogni caso, sono convinto che i processi non vadano fatti in tv».

Si è mai chiesto se anche a lei si sarebbero potuti imputare comportame­nti «scorretti»?

«Le cose sono cambiate di sicuro. Michelle Hunziker, Vanessa Incontrada, Paola Cortellesi: siamo cresciuti da fratelli, con una confidenza fisica che adesso non mi permettere­i anche se loro, pur bellissime, erano smart, il rapporto era da maschiacci. D’altra parte, anche la canzone che mi ha reso famoso, Rapput (con la sua “puttana” e gli “scampoli di assenza”, ndr), non so se oggi la scriverei più, era demenziale e ingenua ma il clima è cambiato».

A (s)proposito di clima: lei studiava Scienze agrarie e ha preparato una tesi sull’energia solare. Un precursore.

«Però non mi sono laureato. Ricordo che andavo anche alle riunioni del Wwf e tutti dicevano: “Che esagerati, siete catastrofi­sti”. Si è visto. Per questo, ho postato una mia foto con cartello: “Gretino”. Non uso mai i social, ma lì ne ho avuto proprio voglia».

Adesso, quali sono i suoi progetti?

«Dovrei girare Quando, dal libro di Walter Veltroni, che sarà anche regista. È la storia di un ragazzo che durante i funerali di Berlinguer va in coma e si risveglia oggi. Sono io: un vecchio… perché non mi interrompe dicendo che non sono vecchio?… con l’animo di un diciottenn­e dell’84, che non conosce i cellulari, Internet. Poi, per la prima volta dovrei fare una fiction, con Paolo Genovese: una serie da Tutta colpa di Freud. Ma non voglio ripetere le fatiche dell’anno scorso, dove si è sommato di tutto, Sanremo, il cinema, Italia’s Got Talent...».

A Sanremo non tornerebbe?

«Va bene una volta nella vita, come il militare».

Meglio godersela?

«Un amico mio coetaneo l’altra sera festeggiav­a la pensione, diceva che adesso coltiverà l’orto. Lì un pensiero ce l’ho fatto: non è che ha capito tutto lui?».

Potrebbe riscoprire l’agricoltur­a.

«Per ora produco olio. Secondo lei, come si chiama l’olio di Bisio?».

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«Bisunto». ➺ Tempo di lettura: 9 minuti

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Claudio Bisio,
62 anni, è nelle sale con il film Se mi vuoi bene di Fausto Brizzi, autore dell’omonimo romanzo.
foto ANNALISA FLORI SEMPRE IN SCENA Claudio Bisio, 62 anni, è nelle sale con il film Se mi vuoi bene di Fausto Brizzi, autore dell’omonimo romanzo.
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Bisio in una scena di Se mi vuoi bene. Nei suoi progetti c’è Quando, dal libro di Walter Veltroni, e una serie da Tutta colpa di Freud di Paolo Genovese.
DOPO IL FILM, UNA SERIE TV Bisio in una scena di Se mi vuoi bene. Nei suoi progetti c’è Quando, dal libro di Walter Veltroni, e una serie da Tutta colpa di Freud di Paolo Genovese.

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