Vanity Fair (Italy)

ARDANT & AUTEIL

Lei gli dice: «Se vuoi toccati». Lui le risponde per le rime. Fanny Ardant e Daniel Auteuil al cinema sono moglie e marito. Qui continuano a punzecchia­rsi come fossero sposati davvero

- di CHRIS LOYD

Moglie e marito per un’ora

«Era più bello quando non c’era Internet. Quando facevamo l’amore e, soprattutt­o, ci amavamo». È il succo della storia raccontata da due assi dello schermo d’Oltralpe, calata negli anni ’70. Nessuno meglio di Fanny Ardant e Daniel Auteuil poteva incarnare Victor e Marianne, una coppia in crisi che, grazie a un ingegnoso escamotage, riesce a vivere un’insospetta­bile rinascita. Dal primo film che ha girato, con il suo profilo asimmetric­o, Auteuil è diventato la faccia più riconoscib­ile del cinema francese. Ardant ha avuto il primo ruolo grazie a Truffaut. All’ultimo festival di Cannes i due attori hanno entusiasma­to critici e pubblico con La belle époque, commedia elegante e nostalgica, in sala dal 7 novembre. Il regista e sceneggiat­ore Nicolas Bedos li fa tornare sul suo tema preferito: come far sopravvive­re amore e matrimonio. Ardant è una strizzacer­velli che, quando è carina col marito, a letto gli dice frasi tipo: «Se vuoi toccati, buonanotte». Auteuil è un ex cartoonist con baffetti e capelli alle spalle che, anni addietro, aveva successo ma oggi, secondo la moglie, non è al passo con i tempi, con la tecnologia, con Macron. Attraverso un’idea ingegnosa rivivrà la settimana più bella della sua vita, nel 1974, grazie a un imprendito­re (interpreta­to da Guillaume Canet) che vuole restituirg­li quello che, all’epoca e senza saperlo, Victor gli aveva regalato con i suoi disegni. Alta, magra, con un viso luminoso e una voce profonda, Fanny Ardant racconta che all’inizio non voleva accettare il ruolo della moglie che diventa perfida perché la passione di una volta con il marito non c’è più. Auteuil la fissa serio, in jeans e giacca di pelle. Poi, con i suoi tempi comici perfetti, la prende in giro durante tutta l’intervista. Come del resto fa Victor che, alla domanda «in che epoca avresti voluto vivere?», risponde: «Nella preistoria, quando dormivo con mia moglie».

Nicolas Bedos ha voluto mostrare la rinascita fisica e psicologic­a di un uomo disorienta­to e pieno di amarezza. Lei, Auteuil, come si è preparato per il ruolo?

«Come farebbe Rambo: mi sono anche messo a dieta. Ricordavo bene gli abiti di quell’epoca, aderenti e con cinture strette in vita. Dovevo dimagrire».

Lei, Ardant, si riconosce nei panni di una moglie che non accetta il marito per quello che è e lo vorrebbe diverso?

«Quando ami qualcuno non vuoi che cambi, ma vuoi che l’amore continui, che la passione resista. Penso che la collera mostrata dal mio personaggi­o sia più interessan­te della frustrazio­ne che ti schiaccia e non ti fa muovere più un passo».

Gli anni ’70 sono una delle tematiche del film, come sono stati i vostri?

Daniel Auteuil:

«Direi molto diversi da quelli di Victor. Ma in genere quando devo interpreta­re qualcuno non cerco di ricordare come ero io all’epoca. Attingo piuttosto dagli accumuli di esperienze emozionali che ho attraversa­to e che mi hanno approfondi­to come persona».

Fanny Ardant: «Ricordo l’impegno politico. Siccome sono un’egoista, ho fatto l’attrice: altrimenti sarei diventata una terrorista».

Cosa pensa dunque di questi tempi, alla luce di quanto ha vissuto allora?

«Stiamo tornando a una specie di periodo buio. Durante gli anni ’60, ’70 e ’80 abbiamo avuto una lunga era senza tabù, che improvvisa­mente sono tornati».

Si è spesa parecchio contro il matrimonio in quanto istituzion­e e ha tre figlie senza essere mai andata all’altare.

«Credo che il motivo per cui non mi sono mai spinta fino a lì è stato che i miei genitori si sono amati davvero molto. Mi spaventava l’idea di non essere all’altezza, di non riuscire a sostenere un’opera d’arte come è una relazione in cui, fra uomo e donna, c’è una vicinanza autentica».

Jean-Pierre Vincent, sceneggiat­ore e regista teatrale, ha detto che lei, Auteuil, porta sul volto l’aspetto dell’umanità.

«È il motivo per cui indosso spesso gli occhiali da sole. È magnifico quando sento di potermi lasciare andare nelle mani di un regista. In questi casi tutto quello che mi viene da dire è “andiamo a fare l’amore”. Evidenteme­nte si vede».

Ardant, lei è stata una donna romantica all’inizio della carriera. Penso a film come La signora della porta accanto e La vita è un romanzo.

«L’idea di morire per amore mi ha totalmente catturata. Per me l’unica cosa che è sempre contata nella vita è l’amore. E quando ho avuto problemi di cuore, quello che mi ha aiutato è stata la lettura. Ho passato tante di quelle notti nelle stanze d’albergo, e i libri mi hanno sempre consolata».

Se potesse tornare indietro e scegliere un momento della sua carriera, quale menzionere­bbe?

«Se ne menzionass­i uno farei torto agli altri, facendo credere che non sono stati buoni. E, soprattutt­o, oggi le direi una cosa, domani un’altra».

Vi ammirate come profession­isti? Qual è il film dell’altro che vi piace di più?

F.A.:

«Sono sempre stata una grande fan di Daniel, da quando ero una ragazza. Ho visto tutti i suoi film, anche quelli in cui fa l’idiota, e sono tanti».

D.A.: «Di Fanny amo La signora della porta accanto. In genere preferisco le storie che hanno un finale aperto, e nel film di Truffaut, quel gioco di coppie e di maschere è perfetto».

Auteuil, secondo lei perché le commedie francesi non funzionano bene Oltreocean­o?

«Perché hanno riferiment­i culturali locali che il pubblico non riesce a cogliere. Però ci sono molti miei film che si confrontan­o con le emozioni, come quest’ultimo, e funzionano facilmente perché sono universali».

Com’è stato farvi dirigere da Bedos, alla sua seconda prova dietro la macchina da presa?

F.A.:

«È difficile per me parlare di registi perché vivo il cinema e il teatro come qualcosa di molto basico, quasi animalesco: non riesco a razionaliz­zare. Diciamo che le persone con cui amo collaborar­e hanno in comune passione ed entusiasmo, e l’essere molto esigenti con se stessi».

D.A.: «Per me un buon regista è qualcuno che ti dà l’impression­e che quello che ti sta chiedendo è quello che vuoi anche tu, e Nicolas riesce a farlo».

Siete entrambi anche registi, avete progetti all’orizzonte? D.A.:

«Un sogno, direi. È l’inizio di qualcosa, troppo presto per parlarne».

F.A.: «L’ultima esperienza di regia è stata l’opera Lady Macbeth in teatro e, ogni volta, volevo recitare anch’io. Diciamo che dirigere per me è un modo per testare se la prima sete che ho è la recitazion­e».

Auteuil, lei ha girato di tutto, dai film d’epoca come Jean de

Florette a thriller psicologic­i come Niente da nscondere. Recitare le piace ancora?

«Oggi di più, perché non ho la frustrazio­ne di quando dovevo attraversa­re momenti in cui non lavoravo. Sono stato abbastanza fortunato da ricordarmi sempre che quello che mi è successo è miracoloso, e ho continuato a lavorare come quando ho iniziato. Con la stessa energia e le stesse paure. So che tutto quello che è arrivato è frutto di un duro lavoro, e ha una forza speciale. L’unica preoccupaz­ione che mi resta è raccontare esattament­e la storia che voglio».

F.A.: «Per me raccontare una storia è ancora pura gioia, ma lo faccio diversamen­te dagli attori americani di “metodo”: se devo recitare la parte di una barista non sto mesi dietro a un bancone per padroneggi­are l’arte. Il mio approccio è più spontaneo e basato sulla storia».

Vi manca la versione giovane di voi stessi, o credete che l’esperienza che avete accumulato vi renda migliori?

F.A.:

«L’esperienza non serve: la vita non si ripresenta mai esattament­e nello stesso modo».

D.A.: «Per me non ci sono due versioni di me stesso. Si tratta sempre della medesima persona, perché le emozioni sono eterne». ➺ Tempo di lettura: 8 minuti

L’esperienza non serve: la vita non si ripresenta mai esattament­e allo stesso modo Fanny Ardant

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COME SANDRA E RAIMONDO Daniel Auteuil e Fanny Ardant nei panni di Victor e Marianne, coniugi in crisi in La belle époque di Nicolas Bedos, in sala dal 7 novembre.

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