DAPHNE CARUANA GALIZIA
Due anni fa veniva uccisa la giornalista Daphne Caruana Galizia. Il figlio Matthew ci racconta il privilegio di averla avuta come mamma. E la sua lezione più importante: che nella vita si può avere davvero tutto
Parla il figlio della giornalista uccisa
La storia che segue è una delle più importanti che possiate leggere sul significato e il destino dell’essere europei. Daphne Caruana Galizia era una donna spiritosa, amava le piante e il giardinaggio, era una madre lavoratrice che ha cresciuto tre figli maschi idealisti e, soprattutto, era una giornalista instancabile. Come reporter del Sunday Times e poi come blogger indipendente aveva svelato la corruzione del governo di Malta − il suo Paese − e l’ipocrisia dell’Europa, aveva mostrato come l’isola fosse diventata un centro di riciclaggio di denaro, crocevia di interessi di oligarchi e dittatori, aveva raccontato come la cittadinanza maltese (e quindi europea) fosse svenduta a chiunque fosse in grado di pagare un milione di euro. Negli anni era stata derisa, denunciata, arrestata, calunniata, inseguita. Il 16 ottobre di due anni fa uscì di casa per andare in banca, salutò Matthew, il suo figlio maggiore. Lui aveva promesso di farle trovare un piatto di ravioli al suo ritorno e lei aveva fatto una battuta sulle sue trascurabili doti culinarie. Era rientrata a prendere il libretto degli assegni che aveva dimenticato, era uscita di nuovo, sempre di corsa. La sua Peugeot 108 saltò in aria pochi minuti dopo, attivata da un innesco a distanza: il tritolo era lo stesso tipo delle stragi di mafia in Italia. Le ultime parole sul suo blog Running Commentary erano state «Ci sono corrotti ovunque. La situazione è disperata». Le ultime a Matthew: «Quando torno, puoi prendere tu la macchina».
Nei momenti bui da giornalista, scherzava con i figli sul fatto che un giorno avrebbe voluto pubblicare una raccolta dei suoi migliori articoli. «Lo intitolerò Daphne’s Greatest Hits», aveva detto. Loro avevano sorriso, come a volte fanno i figli coi sogni delle madri, e lei aveva risposto: «Che c’è da ridere, lo trovate buffo?». No, in realtà non lo trovavano buffo, né allora né oggi: l’antologia delle inchieste più importanti di Daphne Caruana Galizia è stata pubblicata ed è uscita anche in Italia, a due anni dalla sua morte, col titolo Di’ la verità anche se la tua voce trema. È uno dei primi due titoli della nuova collana di Bompiani chiamata Munizioni e affidata a Roberto Saviano, l’altro è Fariña. La porta europea della cocaina, del giornalista spagnolo Nacho Carretero. Dentro il Greatest Hits ci sono tutte le parole per le quali Daphne Caruana Galizia è stata uccisa, e quelle dei suoi tre figli, che hanno curato le introduzioni alle sezioni. Il più giovane, Paul, ha 31 anni e ha deciso di diventare giornalista dopo quel giorno; oggi prosegue le inchieste di sua madre. Quello di mezzo, Andrew, lavora al World Economic Forum. Il maggiore, Matthew, ha vinto il premio Pulitzer come parte del team di International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), per l’inchiesta sui Panama Papers. È lui che mi risponde al telefono da Malta. Con Matthew riavvolgiamo il nastro, fino al 16 ottobre 2017, il giorno della bomba. È il difficile compito di chiunque sia sopravvissuto a un trauma, quando si avvicinano gli anniversari, doppiamente difficile quando il trauma è un fatto pubblico e senza giustizia. «Era un lunedì, un giorno come gli altri, mia madre e io lavoravamo insieme, seduti uno di fronte all’altra, al tavolo della sala da pranzo. Eravamo sotto pressione, quel giorno mamma era particolarmente infuriata, le ultime parole sul blog nascono da quella mattinata di rabbia contro il primo ministro Joseph Muscat». Daphne lo
aveva costretto alle dimissioni, lui era stato rieletto. Aveva scoperto l’esistenza di una società offshore riconducibile alla moglie, sul cui conto c’era un bonifico del capo di Stato dellA’ zerbaijan, col quale il governo maltese aveva stretto accordi energetici. Era una vita difficile, quella dei Caruana Galizia: oggi tutti sappiamo chi è Daphne e qual è l’importanza delle sue battaglie, nell’ottobre del 2017 erano soli, accerchiati e seduti sopra una montagna di informazioni. «Sapevamo che le cose stavano diventando pericolose. Eravamo isolati contro un governo che controlla ogni aspetto dello Stato. Portavamo prove di corruzione all’opinione pubblica e invece di indagare su queste prove, ci attaccavano. Non c’era un posto sicuro per noi e nessuna autorità a cui rivolgerci».
Era ora di pranzo, quando la bomba scoppiò, Matthew fu il primo ad arrivare, sono stati usati tra i 300 e 400 chili di tritolo, Daphne aveva 53 anni.
«Questi due anni sono stati un lungo incubo, che non sembra concludersi mai. Le prime settimane mi svegliavo ogni mattina sperando che fosse davvero solo un brutto sogno, che mia madre avrebbe semplicemente aperto la porta e detto: Ehi, sono tornata». Tre uomini sono stati incriminati dalla giustizia maltese, i fratelli George e Alfred Degiorgio e il loro amico Vincent Muscat. A Matthew e a chiunque conosca questa storia il processo agli esecutori materiali non può bastare. «È la stessa cosa accaduta dopo l’assassinio di Anna Politkovskaja. Sono stati condannati i sicari, il governo russo ha potuto dire: giustizia è stata fatta. Noi vogliamo che siano processati i mandanti e le persone che hanno creato le condizioni per questo omicidio, che hanno espresso il desiderio che fosse morta e che hanno dato l’input per questo atto».
Dopo una dura sollecitazione del Consiglio d’Europa, Malta ha annunciato che avvierà un’indagine indipendente per fare luce sui mandanti e sul contesto politico del suo omicidio. Matthew è un ingegnere di formazione, ha creato l’Unità Dati dell’ICIJ, fondamentale per elaborare le informazioni che avrebbero portato alla vittoria del Pulitzer per il caso Panama Papers. Ha la stessa passione viscerale per questo lavoro che aveva sua madre, ma oggi non può fare niente di tutto questo: la sua vita si svolge nelle aule dei tribunali. C’è stata la battaglia vinta al Consiglio d’Europa, ci sarà quella della nuova inchiesta giudiziaria e ci sono le 29 cause per diffamazione che erano state intentate contro Daphne e che il governo ha deciso di portare avanti. Quelli che hanno messo una taglia sugli assassini di Daphne Caruana Galizia sono gli stessi che stanno facendo ancora oggi causa alla sua famiglia. Quando parliamo di questo, è uno dei pochi momenti in cui a Matthew cede la diga delle emozioni. «È una cosa che mi lascia stupefatto, un atto senza vergogna». Gli trema la voce, si ferma, respira.
Avere una battaglia così lunga alle spalle e un’altra altrettanto lunga davanti è anche una questione di amore. Non solo quello per Daphne, ma anche per Malta. «Amo questo Paese, altrimenti non farei niente di tutto questo. È una delle lezioni di mia madre, per quale altro motivo avrebbe dovuto sacrificare la sua vita, se non per amore di Malta? Era così determinata che l’unico modo per fermarla è stato ucciderla».
Daphne era sua madre. Oggi è un simbolo, una martire del giornalismo, ma è anche la donna che ha cresciuto lui e i suoi fratelli. Nel ricordare i dettagli sulla personalità di Daphne, sull’essere umano che era, si intrufola sempre la persona pubblica. «La cosa che ci ha aiutato a resistere nel corso degli anni è stato il suo straordinario senso dell’umorismo, la capacità di ridere di ogni cosa. Faceva infuriare i suoi nemici. Quella di Malta è una società machista e misogina, se c’è una cosa che quegli uomini corrotti non riuscivano a reggere era essere derisi da una donna». Per un figlio maschio non è facile nemmeno parlare dell’eredità femminista di sua madre: «Il significato che ha trasmesso con la sua vita è che si può avere tutto. Lei credeva che ogni persona avesse diritto alla sua strada per la felicità, per lei la strada era questa famiglia. Era riuscita a dimostrare che una donna può avere una carriera, combattere per quello che crede giusto e crescere contemporaneamente tre figli». Prima di salutarci, gli chiedo se è ottimista, mi risponde: «Ottimismo non è la parola che userei, la giustizia non arriva con l’ottimismo, ma quando le persone si alleano, stanno dalla stessa parte, combattono».
Immaginavo che lei avrebbe semplicemente aperto la porta e detto: sono tornata