Vanity Fair (Italy)

Succi: arriva il secondo album

La lotta con gli algoritmi musicali, Paolo Conte e zero cuoricini. Succi torna con un album indie-adulto

- Di FERDINANDO COTUGNO

Nel famoso saggio di Claude Lévi-Strauss Il crudo e il cotto, il crudo è lo stato di natura del cibo e delle cose, mentre il cotto è la cultura, tutto quello che usiamo per elaborarle. Giovanni Succi, rocker e divulgator­e di cultura alta (ha portato in giro uno spettacolo su Dante), ha pubblicato il suo secondo album e il titolo è Carne cruda a colazione. Le sue canzoni sono proprio un invito a togliere orpelli e algoritmi, per tornare alle cose basiche della vita. Succi è il cantante di un gruppo blues-rock con una lunga storia, i Bachi da Pietra, a quell’attività ha affiancato da due anni quella solista, distinta e autonoma ma sempre dedicata a «persone che non si accontenta­no della prima brioche che passa il convento».

Carne cruda è un disco orgogliosa­mente per cinquanten­ni o sbaglio?

«Si fa presto a prendere per il cuore i ragazzini. Non ho niente contro quell’universo, ma ci sarà qualcuno che ha più pelo sullo stomaco là fuori. E cosa gli vuoi raccontare? Un po’ di realtà senza cuoricini e salamelecc­hi».

C’è anche una cosa che nella musica si trova poco: la complessit­à.

«I gruppi musicali una volta si chiamavano complessi ed effettivam­ente un po’ lo erano. Però gli algoritmi mi odiano, non sanno dove collocarmi».

Dalla canzone Algoritmo mi pare di capire che l’odio sia ricambiato.

«Se ci fossero stati quando avevo 18 anni oggi ascolterei ancora i cloni dei cloni dei gruppi metal. Per fortuna un amico più grande mi fece scoprire altra musica: Tom Waits, Lou Reed. La mia però è una serenata in un linguaggio comprensib­ile a un bot informatic­o, per dirgli: algoritmo, cagami, esisto anche io».

Grigia è una canzone su Alessandri­a, la città in cui è nato, che è affettuosa ma spietata. Qualcuno si è offeso?

«Non ancora. Anzi, finalmente esiste una canzone che parla di Alessandri­a. Il Borsalino è un cappello con una storia mitologica e nessuno sa che lo fanno lì. Un’altra città ci avrebbe costruito un mondo, lì quasi lo nascondono».

È stato definito «Paolo Conte dell’indie». Troppo?

«Toglierei indie, per favore. Mi riconosco però in Paolo Conte, mi piace tramandarl­o e tradirlo».

Conte le ha mai fatto sapere cosa ne pensava di quel disco di cover delle sue canzoni?

«Gli ho mandato vari messaggi in bottiglia, non ha mai risposto. Ma trent’anni fa mi aveva già dato un riscontro sulla mia musica. Siamo piemontesi, una volta ogni trent’anni può bastare».

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