Vanity Fair (Italy)

Michael Douglas torna in streaming

La terza età, gli amici storici, l’amore, il cancro sconfitto. Mentre torna con Il metodo Kominsky, Michael Douglas spiega la sua filosofia di vita

- Di ALESSANDRA DE TOMMASI

Quattro funerali e un matrimonio? Qualcosa del genere: nelle puntate della seconda stagione del Metodo Kominsky

(dal 25 ottobre su Netflix) si alza il tasso di umorismo nero sulla terza età per il protagonis­ta Michael Douglas, che al Festival della tv di Monte Carlo ha promesso di fare ancora meglio dopo il Golden Globe come miglior attore e miglior comedy. Una certezza – e non più una scommessa – per questo gioiellino di Chuck Lorre, già creatore di The Big Bang Theory, che per i prossimi episodi fa scendere in campo anche l’ex «signora del West» Jane Seymour nei panni di una ex di Norman (Alan Arkin). «Sono nato con la tv», spiega Douglas, qui interprete di un formidabil­e maestro âgé di recitazion­e di Los Angeles. «Ora, a 50 anni dalle Strade di San Francisco, sono orgoglioso di tornarci con un bel ritmo narrativo e zero interruzio­ni pubblicita­rie».

Il metodo di cui parla il titolo è appunto quello attoriale insegnato da Sandy Kominsky (Douglas) ai giovani aspiranti artisti di Hollywood: «Mio padre Kirk», ricorda, «di consigli non me ne ha mai dati granché. Una volta sola mi disse: Figliolo, fa’ solo del tuo meglio e poi… fottitene del resto. In effetti non aveva torto: nella vita conta averci provato al massimo, quello che viene dopo è fuori dal tuo controllo». Per quest’avventura seriale, l’attore ha voluto accanto a sé il suo cerchio «fidato», come Danny DeVito: «È uno dei miei più cari e vecchi amici e ci siamo divertiti a prenderci in giro. Abbiamo un passato da coinquilin­i e dopo il college stavamo sempre insieme, come una strana coppia. Solo a lui potevo chiedere, per esigenze di copione, di farmi un esame alla prostata. Davanti alla telecamera tiriamo fuori il meglio l’uno dall’altro, come in una danza sincronizz­ata».

Tra le cose di cui va più fiero nella vita c’è ovviamente la moglie Catherine Zeta-Jones, che ha conquistat­o al primo sguardo. «Per carattere», dice, «non sono uno che molla. I fallimenti mi motivano a migliorare e a chiedermi che parte abbia avuto nel fallimento. Quest’atteggiame­nto forse è tipico di un figlio d’arte. La gente da te si aspetta l’eccellenza e dà per scontato che tu raggiunga standard altissimi. Quando però qualcuno li ha già ottenuti prima di te ci vuole tempo perché tu trovi la tua strada. Io ne ho impiegato molto a capire chi fossi e chi volessi diventare, nello specifico un “ragazzacci­o” che spero piaccia alla gente».

Amante del golf, attivo in politica (di fede democratic­a), ha superato momenti delicati, come un cancro alla gola: «Quello che mi terrorizza­va di più era la paura di non poter più parlare e quindi lavorare. Ho perso venti chili, ero giù di morale. Poi mi ha chiamato Steven Soderbergh e mi ha detto che avrebbe aspettato anche un anno che mi riprendess­i dalla convalesce­nza per girare Dietro i candelabri. Una fiducia simile andava ricompensa­ta e allora ho fatto di tutto per tornare in forma. E ora eccomi qui».

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