IL TALENTO DI MR RONSON
È uno degli uomini più eleganti del mondo della musica, il produttore di hit internazionali e anche il vincitore di un Oscar (per «Shallow» di «A Star Is Born»). Ora Mark Ronson, che ha da poco pubblicato un nuovo album, ha deciso di tornare a New York, dove è cresciuto accanto all’amico Sean (Lennon)
A 11 anni il mio accento era molto più british. Dicevo al portiere: «Può dire a Sean che Mark è qui?». E lui: «Maug?». E io: «Mark». E lui: «Maug?». Alla fine mi sono arreso: «Può dire a Sean che c’è Maug?»
Quando lo incontro, Mark Ronson, produttore musicale e dj, è piegato su una scodella di matzo-ball (zuppa con gnocchi di origine ebraica) da Fine & Schapiro, ristorante Kosher dell’Upper West Side a New York. Le luci al neon e i pannelli di finto legno da cui pendono immagini di cibo disposte ad arte hanno quell’aspetto dimesso e un po’ crudo che si vede spesso nelle serie tv ambientate negli anni Settanta, in onda sulle piattaforme di streaming, ma molto meno nella realtà.
Ronson, un uomo alto e dinoccolato, reso ancora più alto da un ciuffo «rock and roll», è un produttore da dischi di platino: la sua più famosa collaborazione è quella con Bruno Mars per «Uptown Funk» e, più di recente, ha vinto un Oscar per «Shallow» dal film «A Star Is Born».
Quando era bambino e viveva a Londra, sua nonna gli preparava la zuppa matzo-ball. Dopo che la sua famiglia si è stabilita a New York, Fine & Schapiro ha preso il testimone. «Senza offesa per la cucina di mia madre, ma quando abitavamo qui vicino ordinare da questo locale era un piacere», dice Ronson.
Nato in una famiglia di immobiliaristi ebrei, Ronson si è trasferito a Manhattan all’età di 8 anni, quando la madre Ann sposò Mick Jones, della rock band Foreigner. La famiglia viveva nel famoso edificio residenziale San Remo, su Central Park West, e Ronson frequentava la scuola maschile Collegiate School.
Durante l’adolescenza Ronson è diventato un dj, mixando il primo hip-hop col funk. Poi ha iniziato a produrre musica, facendo uscire 4 album suoi prima di far rotta su Los Angeles e chiudersi in studio.
«Ho sempre sentito che dovevo lavorare durissimo per ottenere qualcosa», dice. «Immagino di avere un’autostima parecchio bassa».
Dopo un momento di crisi esistenziale e dopo il divorzio dalla modella e attrice francese Joséphine de la Baume, nel 2018, ha registrato il suo nuovo album dal titolo «Late Night Feelings», uscito a giugno. Un’antologia di brani un po’ soul e un po’ synth, che contiene una moltitudine di voci femminili, da Lykke Li a Miley Cyrus. È il tipico disco da ballare in discoteca ma anche da ascoltare a casa, in totale relax, sorseggiando un bicchiere di vino Sancerre.
La «crisi di mezza età» di Ronson lo ha anche spronato a tornare nella Upper West Side, dove sta per comprare un appartamento. «Ho 44 anni, sono pronto a un cambiamento, non ho più, ormai, “quella paura di perdersi qualcosa che ha talvolta chi non vive in centro”», racconta. Prende in mano il menu del ristorante: «È ora che mi comporti come un quarantenne e che ordini del cavolo ripieno»... Dopo aver rinunciato al cavolo a favore di un sandwhich al tonno e di un latke (pancake di patate), croccante e grosso come un piattino, Ronson lascia il locale.
Inforca un paio di occhiali da sole così somiglia a – Johnny Cash e si dirige a piedi verso est, sulla 22ª strada, – verso il parco. «Laggiù», dice puntando il dito, «c’era il Virgin Megastore. Alle superiori era uno sballo perché potevi andare lì e ascoltare qualsiasi cd; dovevano aprirli apposta se erano ancora incellofanati. Già a 15 anni avevo capito che era un pessimo modello di business».
Più avanti, dirigendosi verso il Dakota, il palazzo che è stato la casa del suo amico d’infanzia Sean Lennon, ricorda: «Quando venivo a trovare Sean avevo 11 o 12 anni, il mio accento era molto più british. Dicevo
Ho sempre sentito di dover lavorare durissimo per poter ottenere qualcosa. Immagino di avere un’autostima un po’ bassa
al portiere: “Può dire a Sean che Mark è qui?”. E lui: “Maug?”. E io: “No, Mark”. E lui: “Maug?” e rideva. Così, dopo un po’ mi sono arreso e ho detto: “Può dire a Sean che c’è Maug?”. Era più facile».
Dopo aver attraversato la strada che conduce al parco i suoi passi si fanno più veloci. «Amo lo spazio aperto che c’è qui, puoi stare in piedi a Central Park West e non vedere nessun edificio».
«Tre settimane fa stavo per fare un’offerta per questo appartamento ma ho pensato che prima dovevo capire se davvero mi piace stare qui. Così sono venuto al parco e mi sono sdraiato su quel mucchio d’erba». Indica il pezzo di prato con la mano: «Ho sentito che era proprio il posto giusto».