DIMENTICARE L’IMPOSSIBILE
La vita in periferia (di Milano), il lavoro nei ristoranti, poi la box thailandese, che gli ha insegnato a «crederci». Oggi Rkomi è uno dei nomi più interessanti della scena pop-trap, con successi e collaborazioni importanti. Musicali? Non solo
Vengo dalle case popolari di Calvairate, est di Milano: adoro quel contesto ma ti tiene fermo, con il pensiero e con il corpo
Ci sono tante cose che fino a tre anni fa Mirko Martorana in arte Rkomi, 25 anni, non avrebbe mai lontanamente immaginato di poter fare. Tra queste, racconta lui, c’è anche quella di collaborare con un marchio di moda. Oggi che è diventato uno dei nomi più interessanti della scena pop-trap, il poeta 2.0 famoso per i testi densi di immagini potenti, con successi discografici (l’ultimo è Dove gli occhi non arrivano, disco d’oro), collaborazioni importanti (con Elisa, per esempio) e padrini illustri (Jovanotti e Marracash, tra gli altri), Rkomi ha stupito ancora una volta se stesso e ha creato una capsule collection per Bershka. «Tre anni fa non avrei capito quanto è bello mettersi alla prova, conoscere mondi lontani dal tuo e acquisire esperienze diverse», racconta lui.
Che tipo era?
«Troppo giovane e disinformato. E soprattutto limitato: non avevo mai preso un aereo in vita mia, per esempio. Vivevo nella mia cerchia di amici e familiari, da quando avevo 17 anni lavoravo dodici ore al giorno nei ristoranti, doppio turno a pranzo e a cena, come lavapiatti, cameriere, barista. Facevo sempre le stesse cose. Vengo dalle case popolari di Calvairate, periferia est di Milano: adoro quel contesto ma ti tiene fermo, con il pensiero e con il corpo».
È difficile uscire dalla periferia?
«Mentalmente è quasi impossibile, a meno che tu non trovi uno sbocco, una cosa in cui credere».
Che cosa si precludeva?
«Lo studio, per esempio, non capivo quanto fosse importante. E poi dipende anche dalla famiglia che hai: la mia mi ha trasmesso tanto amore e ottimi valori, però ecco, ho faticato a leggere il mio primo libro. Quando mi sono affacciato fuori dal mio piccolo mondo, ho capito che un minimo di cose le dovresti conoscere».
Che libro era?
«LA’ lchimista di Paulo Coelho è stato il primo in assoluto. E poi i libri di Osho, a partire da Essere se stessi».
Come mai proprio Osho?
«Me lo aveva consigliato il mio maestro di Muay thai ( la boxe thailandese, ndr) quando avevo 18 anni. Fa parte di un percorso, cominciato proprio in una palestra nel mio quartiere dove ero andato per perdere quei 10-15 chili di troppo che avevo all’epoca. C’era questo corso di Muay thai, mi sono appassionato, è la cosa che più mi ha dato la forza di credere nella mia musica».
Che cosa le piace della Muay thai?
«La filosofia. Se non hai la mente libera non vai da nessuna parte, anche se sei il più forte fisicamente, il più allenato, quello con i pettorali più grandi del mondo. Se non stai vivendo il presente, non ti puoi concentrare al massimo. Ed è fondamentale imparare a mettere da parte il dolore».
Come si fa?
«Il dolore è mentale, devi partire da lì. Dovrebbe vedere che cosa sono in grado di fare certi fighter nello stretching: tu pensi di non poter arrivare a piegarti in un certo modo, e invece puoi farlo se ti dimentichi che è impossibile: per questo motivo mi è stata utile nella musica. Sono appena tornato dalla Thailandia dove mi allenavo tutte le mattine dalle 6 alle 10: un’esperienza fantastica che ho condiviso con il mio maestro».
Questo maestro le ha cambiato la vita?
«Sì. Anche perché è stato il padre che non ho mai conosciuto».
Suo padre l’ha abbandonata?
«Sì, quando avevo un anno se n’è andato di casa, lasciando mia mamma, mio fratello – figlio di un altro uomo – e me. Papà non l’ho mai visto, a un certo punto ho provato a cercarlo ma poi ho lasciato perdere, le cose vanno fatte solo se te le senti».
Sua mamma ha tirato su due bambini da sola.
«Sì, è una leonessa. Ha fatto tanti lavori: cameriera, impiegata in azienda, ha lavorato nelle palestre. E non voleva che io e mio fratello fossimo a spasso, cercava di tenerci sempre impegnati. Le stupidaggini che ho fatto sono solo colpa mia. Ho anche lasciato la scuola a 17 anni, l’istituto alberghiero, per andare subito a lavorare e guadagnare i miei soldi. Poi per fortuna la musica mi ha salvato».
Provava rabbia?
«Sì, tanta».
Oggi?
«Solo per cose futili e sempre di meno, spero di azzerarla e di diventare illuminato. È un sogno, probabilmente resterà tale, ma ho capito che è importante avere un obiettivo».
Se non hai la mente libera non vai da nessuna parte: questo mi ha insegnato la Muay thai