Vanity Fair (Italy)

EDITORIALE

Umano, troppo umano

- di Simone Marchetti

Rebecca sorride sempre. L’ho incontrata per la prima volta a un fitting, la prova degli abiti che gli stilisti fanno mentre studiano le nuove collezioni. Rebecca ha 23 anni e lavora come modella per fitting e qualche passerella: quel giorno, una fredda mattina di marzo, se ne sta in piedi, mezza nuda, a provare un mini abito estivo. Il suo volto non mostra nessun brivido. Solo l’accenno di un sorriso caldo e luminoso.

Ci siamo rivisti più volte. Ha sempre la stessa attitudine. In una pausa tra una prova e l’altra, mi ha raccontato che fa la modella nel tempo libero: si è laureata in Biologia e ora sta completand­o i due anni per la specializz­azione in Biosanitar­ia.

Il 5 ottobre scorso, in una giornata come tante altre, riceve una chiamata dalla sorella di Giovanni, il suo fidanzato. Rebecca ha conosciuto Giovanni nove anni fa, nel 2010, quando entrambi frequentav­ano il Liceo Scientific­o di Prato. All’inizio era un tira e molla. Poi le cose sono iniziate a filare dritto.

«Giovanni è caduto ed è grave. Lascia tutto quello che stai facendo e vieni con noi ad Alessandri­a», dice la sorella del fidanzato al telefono.

Giovanni studia Economia e ha una grande passione: il ciclismo. A 18 anni ha corso persino con la maglia azzurra in Nazionale nella Parigi-Roubaix. In quel maledetto 5 ottobre, nello sprint finale prima del traguardo, cade in circostanz­e ancora da chiarire. Batte violenteme­nte la testa contro un muro e viene trasportat­o in elisoccors­o all’ospedale di Alessandri­a. Lo operano d’urgenza. L’intervento sembra andare bene. Ma dopo due giorni, la situazione si mostra irrecupera­bile.

Rebecca è un dottore in biologia, conosce referti e procedure. È iscritta all’Aido, è una donatrice d’organi.

Ne ha parlato anche con Giovanni, qualche mese prima, che aveva detto di volersi iscrivere anche lui, che l’idea è giusta, che bisogna farlo.

Poi, si sa, gli impegni, la vita, le cose ti distraggon­o sempre.

All’ospedale, intorno al letto di Giovanni, ci sono la sua famiglia e Rebecca. Si guardano tutti negli occhi, non c’è bisogno di parlare. Si decide che gli organi del giovane verranno espiantati.

Tre giorni dopo l’espianto, il funerale di Giovanni è già un ricordo. La legge sulla privacy impedisce di sapere dove andranno gli organi del ragazzo. Ma Rebecca trova sul web la notizia del primo trapianto europeo di 4 organi su un solo paziente, a Torino: polmoni, pancreas, fegato e reni arrivano da un giovane donatore deceduto il 5 ottobre.

Rebecca capisce. Rebecca sa. Su Facebook condivide la notizia e sopra scrive: «Al mio eroe sono sempre piaciuti i finali col botto».

Questo numero di Vanity Fair non parla solo di dolore, ma di finali col botto. Finali come quello di Ilaria Cucchi (la sua intervista è a pagina 87), che con una forza da gigante è riuscita a far riflettere un intero Stato. O finali come quello di

Emma Marrone, che ci racconta in esclusiva la sua malattia,

il suo dolore, la sua speranza, il suo coraggio, il suo domani.

Nella vita il destino metterà sempre a tutti il bastone tra le ruote. E il dolore non risparmier­à nessuno. L’unico senso, l’unico rimedio è trasformar­e tutto questo in un finale col botto. Ognuno a modo suo. Ognuno a testa alta. Ognuno come Rebecca, Emma e Ilaria.

Grazie, ragazze. Grazie per i vostri finali col botto.

Buona lettura

PS: continuate a scrivermi pensieri, consigli e riflession­i a smarchetti@condenast.it

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