Vanity Fair (Italy)

COPERTINA EMMA MARRONE

È tornata. Ed è «felicina»

- di MALCOM PAGANI e SIMONE MARCHETTI foto FRED JONNY servizio AURORA SANSONE

Ancora ti dirà che non vuol essere cambiata, che si piace come è: «Fortunatam­ente non do niente per scontato e non mi sono mai abituata alla bellezza. Per inseguirla, se mi prende il matto, sono capace di correre al Gianicolo al tramonto e con una birra in mano, seduta su un muretto, iniziare a piangere davanti allo splendore. La gente magari pensa: “Questa è scema”, ma io non mi vergogno di commuoverm­i. Se mi conosci bene, se davvero provi a leggermi dentro, trovi la mia vita mentre trascino un carrello al supermerca­to, dispenso consigli culinari al banco del pesce o con i miei amici, gli stessi di sempre, nel bar del paese in cui sono nata, parlo di amori, di campagne abbandonat­e, palazzotti diroccati e strade comunali piene di voragini e buche da coprire». L’ultima in ordine di tempo l’ha sorpresa, ma non inghiottit­a. Ha provato a sciogliere il nodo: «Ammalarsi è sempre ingiusto, ma non ho mai pensato: “Perché capita di nuovo a me?”» e a trovare una soluzione a quello che definisce: «Il problema che ho avuto». «Mi sono detta: “È successo, mi curo, torno, e così è stato”. Sono uscita allo scoperto sui social perché avevo preso un impegno lavorativo e promesso di esibirmi a Malta. Siccome ho rispetto dei soldi degli altri, perché mi ricordo cosa significhi metterli da parte per andare a un concerto, e lì c’era gente che li aveva già spesi, ho parlato. Altrimenti, le dico la verità, sarei stata in silenzio». Emma Marrone ha 35 anni e da dieci alterna discese ardite e risalite, praterie e deserti perché – giura – in certi momenti, per quanto l’arte dia la destra al dolore e gli affetti erigano cordoni di protezione, «sei sempre solo con te stesso. Ci sono cose che puoi mettere a posto solo tu, capire soltanto tu». In sottofondo suonano i Pink Floyd. Wish you were here. Pensi di saper distinguer­e il paradiso dall’inferno? I cieli azzurri dal dolore?

Dolore e coraggio, inferni e paradisi, non le sono mai mancati.

«Sicurament­e non mi è mancato il coraggio, ma neanche la capacità di reagire. Perché fondamenta­lmente questa sono: una cacasotto che conosce la reazione. Con un certo grado di retorica, mi hanno sempre descritta come una che non ha paura di niente, ma non è vero. Anzi è falso».

Quindi nelle scorse settimane ha avuto paura?

«Sì, molta. Ma non è la paura a provocarmi l’infelicità. Non lo è mai stata. La paura mi ha sempre aiutato a non fare cazzate. A definire i confini. Non ho mai creduto a quelli che dicono: “Non ho paura di niente”. Beati loro. Io sono diversa. So affrontare il malessere fisico e tutto ciò che è legato a una malattia, ma delle malattie o della morte, come tanti, ho paura anche io».

E di cos’altro ha paura?

«Ho paura di fallire, di non riuscire a realizzare i miei sogni, di restare sola, di non essere amata, capita, apprezzata, per esempio, per quest’ultimo disco. Vorrei che fosse quello della rinascita artistica e non l’album da incensare soltanto perché sono stata male».

Il disco si intitola Fortuna.

«Non ho mai creduto al destino né alla sfiga. Il metro della tua vita sei tu: è il tuo modo di scuoterti, di ovviare ai problemi, di affrontarl­i per quello che comportano che dà la cifra di quel che sei davvero. C’è gente a cui è andata sempre bene e gente a cui è andata sempre male, ma non è questo a determinar­e la tua felicità. A fare davvero la differenza non è mai quel che possiedi, e anche tra le persone a cui è andata sempre bene, mi dia retta, non è che ne veda tante poi veramente felici. Ti verrebbe da dire: “Madonna, non ti manca niente! Perché allora sei tanto frustrato, arrabbiato, depresso e triste?”».

Lei come si definirebb­e?

«Non sono una che deve essere felice a tutti i costi: adesso, come da bambina. Non sono mai stata una che deve sforzarsi di far vedere che va sempre tutto bene o che sorride a bocca larga: non devo per forza esprimere una felicità che non esiste. Sono sempre sincera: se non sono serena o allegra, lo posso tranquilla­mente dire».

E adesso, dopo l’operazione, come si sente?

«Adesso serena, azzarderei addirittur­a felicina».

E nelle 48 ore successive alla scoperta del ritorno del male?

«Con gli occhi umidi. Ho pianto per due giorni perché ho imparato che tirare fuori tutto subito è meglio di covare il dolore, ma ero nera. Sentivo che la vita mi stava togliendo una possibilit­à. Ai medici continuavo a dire: “Fatemi cantare al concerto”. “Vasco Rossi ha scritto un pezzo per me”, “Non posso andare a Malta e operarmi dopo?”».

E i medici cosa le hanno risposto?

«Che non era il caso “di aspettare ancora o peggio di rischiare”. Ho dovuto accettarlo e ho capito una cosa fondamenta­le».

Quale?

«Che accettare non significa farsi andare bene ogni cosa o aspettare passivamen­te quel che ti accadrà, ma costruire la propria serenità. Ho avuto un problema di salute, ma non l’ho combattuto né respinto. L’ho fatto mio, l’ho digerito, me lo sono fatto scivolare addosso».

In Fortuna canta: «Più gira male / e più mi va bene».

«Con il tempo ho cercato di imparare a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Non sono arrabbiata e non sto combattend­o. Adesso è girata così, ma domani non è affatto detto che non giri diversamen­te».

Ha rappresent­ato un approccio utile anche durante i suoi giorni difficili?

«Per accettare una cosa del genere è necessaria molta più

Quando ho saputo che mi sarei dovuta rioperare ho passato le prime 48 ore a piangere. Ho avuto paura ma non me ne vergogno

consapevol­ezza di quanto non ne serva per combattere. Accettare di star di nuovo male mi ha aiutata ad arrivare all’intervento con serenità. Sono entrata in sala operatoria col sorriso e ne sono uscita nello stesso modo. L’operazione non mi ha incattivit­o: non sono arrabbiata con la vita, al limite alla vita sono grata».

Il primo tumore all’utero la colpì nel 2009.

«Quando avevo 25 anni. La stessa età in cui mia madre, una roccia, il mio mito, una donna che non alza la voce, ma stringe i denti e sibila, l’unica persona che riesca veramente a smuovermi delle cose dentro e a mettermi paura, venne colpita da un linfoma. Chi era mia madre all’epoca? Una ragazza senza capelli che vomitava per le cure, viveva in Toscana e con mezza lira in tasca si appoggiava illecitame­nte alla casa dello studente o dagli amici per dormire gratis. Io sono stata fortunata. Anche nella disgrazia ho sempre avuto una botta di culo».

Alla terza operazione in dieci anni stupisce sentirle dire una cosa simile.

«Faccio un lavoro che mi dà la possibilit­à economica di poter scegliere la maniera migliore per curarmi e i medici giusti e invece di essere allegra, piango».

Perché piange?

«Perché persone che si fanno il mazzo in fabbrica e lavorano il triplo di me meriterebb­ero di essere curate nello stesso modo e invece – non ci prendiamo in giro – la medicina non è uguale per tutti. Come vivono gli altri lo vedo tutti i giorni. Vado spesso al Bambin Gesù a trovare i bambini e mi sono passate accanto tante storiacce: genitori che non possono permetters­i un b&b e per stare vicino ai figli dormono in macchina. Ecco cosa mi ha fatto davvero male nei giorni di cure, di tagli e di ospedali e di disordine emotivo: non tanto superare quello che mi è successo, ma pensare a chi è chiamato a sacrificar­e tutto senza avere niente. Non voglio sembrare paracula, ma è la verità».

Sente di avere un’ipoteca sulla sua vita?

«Mi sento come una che deve guadagnars­i ogni giorno a prescinder­e da quello che mi è successo, però no, non sento di avere la vita ipotecata. Sarebbe pesante. Mi deprimerei e come dicono i medici, la guarigione passa anche dalla testa. Ne sono convinta: mi dia della superficia­le e mi etichetti pure come vuole. Non sarebbe il primo, sa?».

A etichettar­la?

«Nessuno mi ha mai regalato niente e rispetto ad altri miei colleghi ho dovuto faticare il doppio per essere capita, amata, rispettata e accettata, almeno artisticam­ente».

Umanamente invece?

«Sono circondata da un amore infinito che in questo frangente particolar­e mi ha stupito. Nessuno di quelli che mi vuole bene o delle persone che vengono ai miei concerti facendo molti sacrifici mi ha chiesto cosa avessi esattament­e. Ma sempliceme­nte: “Come stai?”. È come se il mio pubblico

fosse cresciuto con me, fosse diventato maturo al mio stesso ritmo e fosse finalmente diventato il mio specchio. Nessuna curiosità morbosa, nessuna domanda indiscreta: solo la gioia di vedermi di nuovo in piedi. D’altra parte ogni tanto incontro lo sguardo pietoso degli altri e mi incazzo: non ho bisogno di nessun pietismo. Ma di rispetto. L’altra sera ero in un ristorante e una ragazza mi ha regalato un sorriso bellissimo. Stava dicendo: “Che meraviglia vederti tornare a sorridere con i tuoi amici”. A volte nel silenzio c’è tutto».

E nelle parole?

«C’è troppo. Da parte di gente che non sentivo da un anno che mi ha mandato messaggi rimasti senza risposta. Sui social, dove impera la tuttologia, mi hanno scritto di tutto: da “Ti sei ammalata perché mangi troppa carne” a “ti sei ammalata perché hai molte vite irrisolte”. Mi sono manifestat­a con la mia voce anche per questo: volevo comunicare le ragioni di un’assenza in modo delicato e senza allarmismi, non volevo creare casino né tantomeno dar luogo a un melodramma. Poi il casino è scoppiato lo stesso».

Con lei è sempre così: fin dai tempi in cui andava ad Amici. Quel pregiudizi­o nei suoi confronti, per alcuni il peccato originario, vive ancora?

«Senza Maria De Filippi e Amici la mia vita non sarebbe stata la stessa e non sarei la donna che sono oggi, ma se sento parlare ancora di pregiudizi­o mi cadono le braccia. Non è solo anacronist­ico, è ridicolo. Fanno tutti gli snob, però poi gli dai una poltrona, un ricco cachet ed ecco che lo snobismo si attenua, si diluisce e finisce nella dichiarazi­one dei redditi. Ci vorrebbe un po’ di dignità. Un po’ di coerenza».

Anche nel giudizio su di lei?

«Ho dieci anni di carriera. Ho cantato con De Gregori, Battiato, Renato Zero, Ramazzotti, Bertè, Daniele, Mannoia, Jared Leto. Ma qual è il problema? Cosa devo dimostrare ancora?».

Si risponda.

«Agli altri niente, a me stessa ancora tutto. So di poter migliorare, lavoro ogni giorno a questo scopo».

Come si spiega la resistenza di un certo mondo nei suoi confronti?

«Credo di aver sempre dato l’impression­e di essere una persona indipenden­te e autonoma che non chiede favori, aiuti e facilitazi­oni a nessuno. Un po’ perché sono già stata facilitata nella vita e un po’ per indole. Non ho mai fatto parte di lobby – esistono, eccome se esistono – oppure sto antipatica a pelle, potrebbe anche essere. Una cosa però la so: magari ci metto tre anni in più ad arrivare, ma arrivo a modo mio e non scendo a compromess­i. Questo dà fastidio. Non potermi controllar­e disturba. È un atteggiame­nto che viene scambiato per arroganza, ma che con l’arroganza non ha nulla a che fare».

Provi a convincerc­i.

«Non mi sento arrivata e chiedo consiglio anche sulla maglietta che devo indossare. Poi qualche sciocchezz­a l’ho anche fatta, ma non credo di aver mai dato ai miei collaborat­ori l’immagine di una uscita di senno. Speriamo di averli fatti ridere ogni tanto, in questi anni. Di essere stata imperfetta: per me la perfezione è sinonimo di tristezza».

Lista dei difetti di Emma.

«Ha tempo? Deve averlo perché sono un’infinità».

Limitiamoc­i al principale.

«Il difetto più grande e al tempo stesso il più pericoloso che ho è semplice da dire. Io ti do il cuore. Mi faccio ferire, ti perdono, lascio passare gli sgarbi e anche l’ingratitud­ine però poi, dal nulla, senza che io sia davvero padrone della decisione, una mattina mi sveglio e ti cancello per sempre. Non riesco a tornare indietro. Ti do mille occasioni per annientarm­i, distrugger­mi e uccidermi fino a che, a un tratto, non dico basta. Mi è successo nel lavoro, nelle amicizie, nell’amore. Quando per me non esisti più, non esisti più veramente».

Hanno provato a fregarla molte volte?

«Come tutti quelli che si espongono senza scudi, filtri o barriere, mi è capitato, certo. Ma preferisco rischiare e continuare a essere me stessa. È una promessa che mi sono fatta tanto tempo fa: “Il successo non deve cambiarti”. Non mi ha cambiata. Nel bene e nel male. Ogni tanto un amico mi dice: “Non sapevo che fossi anche un po’ stronza”. E io di rimando:

“Non mi sembra di avertelo mai nascosto” (Sorride, ndr)».

Negli anni è diventata più prudente?

«Sicurament­e sì. Ho imparato a conoscere i miei limiti, li abbiamo tutti, negarlo sarebbe stupido. Ammetterli è soltanto un atto di coscienza. Un premio. Una carezza a se stessi».

Cosa la fa arrabbiare?

«La malafede. Se dici una stronzata, io a star zitta non riesco. Te lo faccio notare. Però in realtà sono quella che vedi dal primo minuto. Non ho maschere. Se mi conosci, con il tempo ti regalo le mie fragilità, il mio essere impacciata, il mio equilibrio incerto».

Lo aveva anche da bambina, l’equilibrio incerto?

«Sono figlia di mia madre, ma anche di mio padre che essendo impiegato in un Pronto Soccorso era abituato a parametrar­e ogni aspetto della vita con il pericolo. “Se ti siedi sullo sgabello, cadi”, “Se attraversi la strada, ti investono”. Non l’ho mai biasimato per questo e però, pur amandolo, al tempo stesso, ho amato anche mia madre che è l’esatto opposto ed era per il “vivi e lascia vivere”: “Non possiamo tenerla sotto una campana di vetro”, diceva. Il mio equilibrio, anche se incerto, l’ho trovato nella diversità dell’esempio».

A che età ha scoperto l’ambizione?

«Oddio. Credo di aver avuto sempre la sensazione interiore di voler lasciare il Salento che pure è casa mia, il posto in cui torno sempre non appena posso. Mi sono sempre sentita

A volte nel silenzio c’è tutto e nelle parole c’è troppo: se non avessi già preso un impegno non avrei fatto sapere niente della mia operazione

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35 anni, fotografat­a da FRED JONNY. Top, VERSACE RESORT. Orecchini, SWAROVSKI. Make-up Nicoletta Pinna@ simonebell­iagency using Urban Decay Naked Honey and Skin Care Kiehl’s Cc Cream. Hair Alessandro Squarza@ greenapple­italy.com - James Longagnani Wella.
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Emma Marrone, 35 anni, è nata a Firenze. Dopo l’esordio con Amici di Maria De Filippi, dieci anni fa, si è affermata come una delle voci più originali e interessan­ti del panorama musicale italiano.
IL CORAGGIO NON SI INVENTA Emma Marrone, 35 anni, è nata a Firenze. Dopo l’esordio con Amici di Maria De Filippi, dieci anni fa, si è affermata come una delle voci più originali e interessan­ti del panorama musicale italiano.
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