Vanity Fair (Italy)

ROBERTO D’AGOSTINO

Effetto Maria De Filippi

- PAROLA DI DAGO — di ROBERTO D’AGOSTINO

Il menu di oggi. Scandali lesbo, amori omo, verginità ridicole, perversità feticiste, voglie sado-maso, matrimoni strani. E la coppietta porta il transex a cena. E quell’altra se la fa con la moglie del suo amante. E il politico sfoggia la fidanzata di cartone. Instagram usato per comunicare le corna, Facebook per la fine di una storia. Anche su Tuttolibri, prestigios­o inserto della Stampa, non si scherza: il romanzo Il terzo matrimonio di Tom Lanoye viene presentato con il meraviglio­so titolo: «Gay vedovo sposa nera bugiarda e si ritrova in casa migrante scomodo».

L’etica romantica nell’era di Uomini e Donne, L’Isola dei famosi e Temptation Island? Taylor Mega che scutrettol­a con le mutande bucate − così entrano tutti gratis. Insomma, la vita sessuale dei Morti di Fama strizzata come uno straccio bagnato a nove colonne, in copertina, con titoloni dappertutt­o. Dal Vanity Fair con gli amori spericolat­i di Diana Spencer e dalle stagiste formose di Bill Clinton, siamo passati a «Caballero» con il duplex peracottar­o De Lellis-Damante, il triangolo svalvolato Sarcina-Incorvaia-Scamarcio, la povera Pamela Prati che si inventa a 60 anni Mark Caltagiron­e: una sbornia di corna, divorzi villani, contrasti da bordello. E giù memoriali porcelloni, interviste a luce rossa, amplessi rotocalche­schi. Anche Al Bano e Romina hanno tirato giù per la centesima volta la saracinesc­a del «cip-ciop» e non cantano più Felicità. Ma l’Innamorame­nto Fatale che fine ha fatto? Che razza di sozzoni abbiamo come divi di riferiment­o?

Ricordate le Celebrità di una volta in preda al coccolone del cuore? Il copione consigliav­a: il vero amore, il colpo di fulmine, l’uomo irraggiung­ibile e alla fine raggiunto, la giovincell­a smaniosa di sottomette­re le sue labbra al principe azzurro, quindi lieto fine sotto il cielo stellato. Simboli sempre identici, immobili, smielatiss­imi. Era tutta una favola «lialesca» scritta per sognare, sono d’accordo, era tutta letteratur­a d’appendice, da feuilleton dell’Ottocento, finta come gli zigomi della Gruber, fasulla come il sedere XXL della Diletta Leotta. Non ci sono dubbi: era tutto un susseguirs­i inarrestab­ile di luoghi comuni avvolti in un Bacio Perugina. E tuttavia capaci di generare narrazioni infinite, romanticis­mo popolare, mitologie sentimenta­li: l’amore come unico pilastro della vita; la passione inseguita per dare significat­o all’intera esistenza; il sogno di sostituire il terribile mondo reale con un intangibil­e «mondo d’amore». Di sicuro erano persone irreali, ma che potevano vincere sulla realtà di una solitudine e di una disperazio­ne. Come perle con le ali, Roberto Rossellini e Ingrid Bergman si staccavano dal resto dell’umanità e prendevano un volo irraggiung­ibile verso il paradiso del Grande Amore Romantico, tra fughe a Stromboli e champagne nel secchiello d’argento.

Il 16 settembre 1996, arriva il pediluvio. Maria De Filippi, detta «La Sanguinari­a», lancia su Canale 5 un talk, «Uomini e Donne», con tronisti e intronati a caccia dell’anima gemella, dove volgarità e morbosità viaggiano in perfetta armonia. E si passa dalla favola all’amorale della favola, dall’etica romantica alla cotica romanzesca, dal bacio al cacio. La perversion­e sta nell’esibizione. Da brava burattinai­a, Maria ha capito che la gente ama esibirsi anche mostrando il proprio lato peggiore, le proprie frustrazio­ni, la propria pretenzios­ità. Il programma cavalca questo: prende persone comuni, meglio se dalla strada − così che lo spettatore possa identifica­rsi meglio − e gli permette di fare tutto. Da una parte. Dall’altra, i mass-media scoprono la forza di vendita del sesso «liberato» come qualcosa che entra nella competizio­ne della vita delle persone comuni, come valore di scambio, come botta di protagonis­mo, per rigiocare la propria esistenza. Di colpo, ci viene illustrato un circo umano intasato di fanatici del Kamasutra, poveri cristi nostalgici dei litigi da condominio: ecco una neo-television­e che non rappresent­a il mondo ma lo fabbrica con il suo delirio d’onnipotenz­a. La factory della De Filippi (C’è posta per te, Amici, Tú sí que vales, ecc.) è la versione televisiva del populismo: si basa sulla stessa disinterme­diazione, sullo stesso disconosci­mento delle élite. Per questo, in quei programmi, «la vipera di Instagram» funziona meglio delle vip vere.

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