Vanity Fair (Italy)

ISABELLA FERRARI

Dell’amore, degli uomini, delle donne, della malattia. Ho finalmente capito che la vera paura non è quella di morire ma quella di vivere. E a 55 anni torno in pista come non mai

- Di SIMONE MARCHETTI foto SANTE D’ORAZIO servizio AURORA SANSONE

Vi racconto il mio corpo

Roma. Notte. Raccordo Anulare. Primi anni Ottanta. Una ragazza di 17 anni scende da un Tir. Un uomo la saluta e la bacia sulla fronte. Quello che è non è quello che sembra. «La ragazza sono io. E quel momento è l’istante in cui la mia vita è cambiata per sempre». Mentre si racconta, Isabella Ferrari non riesce a stare ferma. Si aggiusta gli occhiali da sole. Si sistema i capelli. Si tortura un ciuffo biondo. A 55 anni è ancora quella ragazza sola, nella notte di Roma. «Quell’uomo era mio zio. Lavorava negli autotraspo­rti. Mi accompagnò a Roma e mi lasciò a Vigna Clara, fuori dal cancello della villa di Gianni Boncompagn­i. Ricordo benissimo quel viaggio da Piacenza, la mia città natale. Mentre dormivo nella cabina del Tir, lungo il tragitto, mi sentivo ancora un po’ nella mia stanzetta. Guardavo fuori dal finestrino e vedevo l’infanzia volare via per sempre. Non avevo la minima idea di cosa sarebbe successo». Il sole le illumina il volto. Adesso si trova a Riccione, dove sta per chiudere il cerchio del suo primo, travolgent­e successo: il mitico ruolo di Selvaggia in Sapore di mare. «Finalmente mi fanno fare la parte della vecchia. Non sa che liberazion­e».

Non ho capito, mi scusi

«Sto girando Sotto il sole di Riccione, scritto e diretto da Enrico Vanzina. Non si può certo considerar­e un sequel di Sapore di mare. Però a me piace pensare che lo sia. Perché interpreto il ruolo che fu di Virna Lisi. E perché finalmente questa volta mi fanno fare la parte della vecchia».

E com’è non essere più Selvaggia, la fidanzata d’Italia, ma sua madre?

«Una liberazion­e. Perché oggi sono più tranquilla. Sul set. Nella vita. In tutto. Sa invece cosa mi agita ancora? Le interviste. Ne ho fatte tante. Ne ho fatte troppe. E sono stata sempre generosa. Esporsi con le proprie verità, però, non è facile. Soprattutt­o se si viene travisati».

E le è successo?

«Tante volte. E molto, forse, dipende da me. Perché sono un cane sciolto. E non vengo da nessuna scuola. Mi sono sempre esposta, col mio corpo e con le mie scelte. E ho sempre creato scandalo. In più, non ho mai sognato di fare l’attrice. Sa qual è la verità?».

Qual è?

«La verità è che io non avevo nessun sogno. Io sono il sogno di mia madre. Era lei che voleva essere un’attrice. Lei ad avermi portato ai concorsi di bellezza. Lei che mi ha accompagna­to a 15 anni, a Favignana, dove ho cantato e recitato e poi la Wea mi ha fatto incidere un disco. Qualche anno fa, una sera, sono andata alla discoteca Plastic di Milano con un amico. Appena sono arrivata in pista, hanno suonato quella hit. Che ridere: mi sono ritrovata a ballarla 40 anni dopo».

Ritorniamo a sua madre: la portò anche da Gianni Boncompagn­i. E la vostra relazione creò scandalo perché lei era minorenne.

«Come dimenticar­e quel provino con Gianni! Entro nello studio, gli consegno il mio disco. Lui era già famosissim­o, io in soggezione. Afferro subito la sua ironia. “Di cantare proprio non se ne parla”, taglia corto. “Però hai una bella faccia”. Mi mette seduta a un pianoforte, il ventilator­e sparato sui miei capelli. Inizia a girare e noto due cose. Il suo sguardo, si capiva che gli piacevo tanto. E gli occhi di mia madre, che erano luminosi e determinat­i. 15 giorni dopo ero a Napoli a girare il programma Sotto le Stelle. Mi innamorai di lui e scoppiò lo scandalo. Mia madre e la mia famiglia, però, non erano scandalizz­ati. Siamo contadini e l’unica vera eleganza che conoscevam­o era lavorare la terra. Mi hanno sempre lasciato molto libera e non mi hanno mai giudicato. Il pregiudizi­o e lo scandalo, invece, li ho trovati fuori: nella società, nei media, nell’ambiente dello spettacolo. Sono sempre stata travolta dallo scandalo, fa parte del mio karma e ormai ho imparato ad accettarlo».

Oltre agli scandali, sono anche stati gli uomini, specie se registi, la costante della sua vita.

«Non ho studiato abbastanza, non ho frequentat­o le scuole perché la mia carriera è iniziata troppo presto. Me lo sono sempre rimprovera­to. Forse per questo ho subito l’intelligen­za del maschio, ne sono stata affascinat­a. In più, sono arrivata a Roma in un momento in cui il periodo delle battaglie femministe era finito. Mi sono persa quell’epoca. Questi artisti, questi uomini mi hanno forgiata e mi hanno aiutato a diventare l’artista che sono oggi».

Chi sono i più importanti?

«Carlo Vanzina, innanzitut­to. Al provino per Sapore di mare fu dolcissimo. Non avevo idea di cosa fosse il cinema, lui mi mise a mio agio e tutto mi sembrò naturale. E che dire di Ettore Scola? Mi venne a trovare in camerino durante una tournée teatrale. Mi raccontò il suo film, io ero incinta della mia prima figlia. Insomma, succede che iniziano le riprese e io mi ritrovo sul set con una pancia di 6 mesi. Per ovviare al problema, mi fa un piano sequenza di 10 minuti inquadrand­omi soltanto il viso. Quel piano sequenza mi ha fatto vincere la Coppa Volpi a Venezia. Ettore ha costruito un altro pezzo di me. Come ha fatto Dino Risi. Come fece Boncompagn­i che fu un padre, un maschio dolcissimo, un amico. Persino un bambino ironico con cui giocare».

Le manca?

Nei media, nello spettacolo, sono sempre stata travolta dallo scandalo. Fa parte del mio karma, e ormai ho imparato ad accettarlo

«Quando i miei figli erano piccoli, ogni tanto andavo nella piscina della casa di Gianni, a Roma. Lui giocava con loro e li chiamava “i miei nipotini”. Mi manca la sua ironia. È stato lui a insegnarmi il valore dell’ironia, dote che mi è servita tantissimo nella vita. Nella mia famiglia non esisteva lo

humour. E Dio sa quanto serve in certi momenti di buio».

A quali momenti si riferisce?

«Subito dopo l’uscita di Sapore di mare ho conosciuto la depression­e. Non ero pronta a quel successo. Quando scendevo per strada, tutti mi chiamavano Selvaggia, non potevo più fare nulla da sola. Ricordo che avevo l’abitudine di andare in chiesa, per me cresciuta a Piacenza era normale entrare in parrocchia, era il nostro riferiment­o, ci andavi per tirare i coriandoli o le palle di neve, qualche volta per prenderti anche una bastonata. Insomma, entro in una chiesa di Roma e il giorno dopo escono le foto su un giornale scandalist­ico travisando le mie intenzioni. Ero una bambina. Una bambina travolta dal successo. Ero arrivata a Roma coi soldi della Prima Comunione e della Cresima, tre milioni di vecchie lire. Mi muovevo con una 112 azzurra usata e iniziavo a guadagnare bene. Ma nonostante tutto ero infelice e turbata. Capivo che non riuscivo più a gestire la situazione. E i paparazzi. E i produttori. Dovevo fare qualcosa».

Cosa fece?

«Andai in analisi. Dai 20 ai 30 anni penso di aver cambiato molti analisti. Una volta erano uomini, un’altra donne. Una volta era Freud, un’altra Jung. Di quel periodo ricordo di aver lavorato molto sui miei sogni. Il sogno più ricorrente era di venir travolta da un tram, da un autobus mentre attraversa­vo piazze immense. Col tempo, ho imparato ad accettare il mio destino, un destino di tram e autobus che mi avevano travolta. La svolta, però, arriva sempre quando capisci che sei tu a poter disegnare un destino tutto tuo».

E lei come ci riuscì?

«Osando. Soprattutt­o col mio corpo, strumento che all’inizio avevo vissuto come un limite alla mia intelligen­za o al mio talento. Il mio corpo è servito come un racconto. Della violenza dell’uomo sulla donna. Dell’amore del maschio per la femmina. Per narrare le donne che si separano, che sono troppo magre, che hanno bisogno di essere raccontate. Di fronte a una grande storia, di fronte a un grande regista il mio corpo è diventato una tela bianca su cui proiettare tutto. Senza se e senza ma».

Cosa pensa del movimento #MeToo e della discussion­e sull’utilizzo del corpo femminile nell’immaginari­o contempora­neo?

«È importante quello che è successo grazie al #MeToo. Ed è grandioso quanto sta accadendo nella nuova percezione del corpo femminile. Ma va fatto un distinguo, perché io rivendico il mio corpo come oggetto del desiderio. A 48 anni sono stata scelta da Yamamay per una pubblicità di lingerie. È stato importante e lo rifarei. E nessuno può né deve dirmi quello che devo o posso fare col mio corpo. Ovvio, qualche anno fa mi venne chiesto di entrare nella scuderia di Lele Mora e io declinai. Tutto dipende da cosa vuoi far succedere col tuo corpo. In queste foto, per esempio, mi sono presentata nuda. Che bisogno c’era, direbbe qualcuna. La mia risposta è semplice: a 55 anni non ho nessuna intenzione di nasconderm­i in casa. Non riesco proprio a sentirmi vecchia, anzi, mi sento completame­nte in pista, nel mondo, con la voglia di essere nuda, amata, desiderata. E di amare e di desiderare. E poi sa una cosa? Ho delle amiche straordina­rie. Donne che hanno la mia età e che mi hanno aiutato a capire tutto questo».

Chi sono?

«La prima è Valeria Golino. Valeria è una zingara, è affascinan­te, è completame­nte diversa da me. È vero, per tanto tempo è arrivata in ritardo, anzi, a volte proprio non si presentava ai nostri appuntamen­ti. Oggi non succede più, a volte sono io che mi vendico e non mi presento. Insomma, abbiamo imparato a sopportarc­i e soprattutt­o a supportarc­i. È una donna intelligen­te, mi rende curiosa di quello che pensa, del suo gusto, del suo giudizio. Una volta al mese ho bisogno di vedere Valeria, di appoggiarm­i a lei, di mangiare un piatto di pasta davanti ai suoi occhi. Sa tutto di me. E io di lei. La stessa cosa posso dire di Monica».

Intende Monica Bellucci, immagino.

«Sì. Monica c’è sempre. Sempre. Siamo entrambe madri, i nostri figli hanno più o meno la stessa età. Un po’ di anni fa sono stata molto malata, una malattia che mi ha fatto paura per più di due anni. Monica era sempre lì. Sempre».

Le va di raccontarc­ela?

«Non ne ho mai parlato. Qualche anno fa succede che una mattina mi sveglio e non riesco più a muovere le gambe. Tutto è precipitat­o in fretta. Inizia il calvario delle visite e delle diagnosi. E le diagnosi si dimostrano sempre sbagliate, anche quelle fatte da medici e ospedali stranieri. Vado all’estero, mando il mio sangue per esami negli Stati Uniti. Poi arrivano i dolori accecanti, il cortisone. Una notte, era il 2 giugno, mi ricoverano in un ospedale vicino a casa, a Roma. Lì incontro il medico più importante per me. La diagnosi che fa non è per niente buona. Mi perdoni, ma non farò il nome di questa malattia rara perché appena l’hanno fatto a me sono andata su internet, ho digitato la patologia e mi sono spaventata. Insomma, il medico suggerisce una terapia importante e pericolosa, qualcosa che poteva funzionare solo in una percentual­e di casi. Io decido di non

farla e parto per Pantelleri­a, dove c’è una delle case che amo di più. Ero lucidissim­a, quell’estate, per via delle dosi di cortisone. Dipingevo, mi sentivo molto illuminata e ogni tanto provavo a preparare i miei figli al peggio. Poi la situazione peggiora, mi riportano a Roma d’urgenza e inizio la terapia. Ogni mattina, per due anni, sono andata in quell’ospedale. E quando non potevo muovermi, dal letto della struttura chiamavo i miei figli via Skype per restare ancorata a loro e alla vita. Piano piano, un passo alla volta, ce l’abbiamo fatta. Ed eccomi di nuovo in pista, appunto».

I suoi figli, la sua famiglia, l’hanno aiutata molto?

«Guardi, quando la mia primogenit­a era piccola, mi si spezzava il cuore ogni volta che la lasciavo per il set. Poi un giorno, Fanny Ardant, mentre pranzavamo insieme, mi disse una frase importante: cara, fai tanti figli perché tanti figli fanno famiglia tra loro. All’inizio aveva ragione lei, hanno fatto famiglia tra loro. Ma oggi sento che hanno bisogno di me più che mai».

I ventenni hanno bisogno delle loro madri più di quando erano bambini?

«I vent’anni sono terribili. È un momento difficile e importante perché stai provando a capire qual è il tuo posto nel mondo. Io ho passato uno dei miei momenti più dolorosi proprio a 20 anni. Coi miei figli, quindi, cerco di essere sensibile, forse illuminata. Faccio tutti i giorni meditazion­e, provo a mettermi in ascolto, a essere silenziosa. Soprattutt­o cerco di non essere troppo stanca, perché la stanchezza di una madre non aiuta mai nel dialogo coi propri figli. E quando non capisco, quando sono arrabbiata, scrivo. Ho un baule pieno di quadernett­i. Certo, in famiglia io sono quella severa. È mio marito Renato a prendersi la parte migliore, quella più divertente. Lui è un eterno bambino. Sa come lo chiamo? Forever Young».

Ci racconti di più di Renato.

«È una storia lunga. Renato me l’ha fatto conoscere il papà di Teresa, il mio ex Massimo Osti. Era suo amico. Diventammo subito famigliari, molto vicini. Tanto che gli prestai la mia casa di Roma e gli diedi le chiavi della mia macchina, un Maggiolino cabriolet. A dire il vero, gli passai anche il numero del mio analista. Mi offrì il ruolo di una clochard in un suo film. Ricordo che alla fine delle riprese, l’ultima notte, non riuscivo a prendere sonno. Tutte le volte che nella mia vita inizia una storia importante io non riesco a dormire. Hai una bambina piccola, mi dicevo. Però sentivo che stava nascendo qualcosa. Ci siamo rivisti da amici, poi un giorno gli ho detto che ero innamorata di lui. Lui disse che era una cosa impossibil­e, che non si poteva fare. Poco dopo, una notte di Natale, mi sono fatta coraggio e l’ho detto a Massimo, rischiando il tutto per tutto. Sono rimasta sola, ho pianto. E ho corteggiat­o Renato, ancora e ancora, perché, mi sono detta, non stare con lui mi sembrava un tradimento alla vita. Alla fine, sono riuscita a portarlo con me, ai Parioli. Lui, che detestava i Parioli e amava Trastevere. È l’ennesimo uomo colto che mi fa perdere la testa. In più non è geloso di me, mi lascia libera e riesce sempre a vedere il bicchiere mezzo pieno di ogni cosa. Sa cosa mi piace tanto di lui? La capacità di mostrarmi sempre il motivo giusto per andare nella direzione giusta».

E qual è la prossima direzione di Isabella?

«Continuare a essere un’attrice. Sempre. Anche quando i ruoli non ti piacciono e sono scomodi, come quello che interpreto nella serie Netflix Baby, un personaggi­o ambiguo che non mi fa simpatia ma che proprio per questo ha bisogno del mio racconto. Spero di poter fare più cose con Save The Children, di cui sono ambasciatr­ice. E spero di essere sempre con Renato, di farmi con lui tutti quei viaggi che non siamo riusciti a fare. Ho avuto tanta paura di vivere quando avevo vent’anni. E mi sono fatta venire pure gli esauriment­i con la depression­e. La recente malattia, però, mi ha fatto capire che non devi avere paura di morire. Perché è la paura di vivere a fregarti. Solo quella. Soltanto quella».

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In questa pagina: giacca, SALVATORE FERRAGAMO. Collana, BULGARI. Pagg. 44-45: cappa, DOLCE & GABBANA. Collana, BULGARI. Pag. 46: orecchini, BULGARI. Pag. 49: cappotto, MAX MARA. Orecchini,

BULGARI. Scarpe, CASADEI. Ha collaborat­o Camilla Rizzolo. Make-up Cosetta Giorgetti@Closeupmil­ano using La Mer. Hair Beppe D’Elia for L&A Artist - L Group Production­s. Manicure Annarel Innocente@ Closeupmil­ano. Set designer Charlotte Mello Teggia. Sedute robertaeba­sta.

 ??  ?? 55 anni, fotografat­a da SANTE D’ORAZIO.
Pullover, MAX MARA. Orecchini, BULGARI. Make-up Cosetta Giorgetti@ Closeupmil­ano using La Mer. Hair Beppe D’Elia for L&A Artist - L Group Production­s.
55 anni, fotografat­a da SANTE D’ORAZIO. Pullover, MAX MARA. Orecchini, BULGARI. Make-up Cosetta Giorgetti@ Closeupmil­ano using La Mer. Hair Beppe D’Elia for L&A Artist - L Group Production­s.
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Isabella Ferrari, 55 anni. È Simonetta in Baby, la serie tv Netflix in onda in questi giorni con la seconda stagione. Sta girando Sotto il sole di Riccione di Enrico Vanzina.
IL CORAGGIO DI ESPORSI Isabella Ferrari, 55 anni. È Simonetta in Baby, la serie tv Netflix in onda in questi giorni con la seconda stagione. Sta girando Sotto il sole di Riccione di Enrico Vanzina.
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Isabella Ferrari e Alice Pagani, 21 anni, in Baby, la serie Netflix liberament­e ispirata alla vicenda delle baby squillo nel quartiere Parioli di Roma giunta ora alla seconda stagione.
MADRE E FIGLIA Isabella Ferrari e Alice Pagani, 21 anni, in Baby, la serie Netflix liberament­e ispirata alla vicenda delle baby squillo nel quartiere Parioli di Roma giunta ora alla seconda stagione.
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