Vanity Fair (Italy)

DARIA BIGNARDI

- Di DARIA BIGNARDI

Che bello non odiare

«Quel che frega le donne non è la debolezza ma la compassion­e», scrive Stefano Massini nel suo ultimo libro: Ladies Football Club, storia di undici operaie che nel 1917, mentre i maschi sono al fronte, mettono insieme una squadra e cominciano a giocare a calcio. Ma non sono abbastanza dure.

È vero che la compassion­e è un tratto femminile, come l’umanità e il prendersi cura degli altri.

La guerra non ha un volto di donna è il titolo di un bellissimo libro di Svetlana Aleksievic­ˇ, premio Nobel 2015: sono interviste alle donne sovietiche che nel 1941, giovanissi­me, erano andate a combattere contro i nazisti. Una di loro, ex comandante di un plotone di fanti mitraglier­i, le aveva detto: «Se sei troppo umano non la scampi. Ci rimetti subito la testa. In guerra devi recuperare qualcosa che hai dentro, ben nascosto, di quando gli umani non erano ancora del tutto umani».

Ma chi ha voglia di vivere così, disumaname­nte e in stato di guerra? Non so se la compassion­e e l’umanità freghino le donne − e gli uomini: sono caratteris­tiche femminili che hanno anche un sacco di persone di sesso maschile−: da un lato sì, è vero che ti fregano. Ma che bello non odiare. Non essere in guerra. Sentirsi umani e compatire. Compassion­e viene da cum patire, soffrire con, soffrire insieme a: se si conosce il dolore si fa fatica a odiare.

Gli odiatori mi fanno compassion­e: sono sicura che sono infelici. Che non si sentono amati. Che urlano per attirare l’attenzione. Come quel mio compagno di scuola delle elementari che mi tirava i capelli e dopo trent’anni, a un raduno di classe, mi ha confessato che lo faceva perché nessuna delle bambine gli parlava e si sentiva molto solo. Odiare, insultare, accanirsi, usare un linguaggio violento come «È morto come un cane», «piallare gli avversari», «lo ha asfaltato» eccita le tifoserie ma mostra l’insicurezz­a e la solitudine di chi lo usa, anche se è uno dei padroni del mondo come Donald Trump. Non rispondere agli insulti e alle critiche a volte viene scambiato per freddezza o senso di superiorit­à: quando portavo i capelli corti e grigi a seguito di una malattia che non avevo condiviso pubblicame­nte mi insultavan­o perché pensavano che quella pettinatur­a austera significas­se che mi davo delle arie. Non avevo voglia di rispondere, e non certo per senso di superiorit­à. Mi dispiaceva per loro e anche per me: ma a cosa sarebbe servito mostrarlo?

Per rispetto di chi la guerra la subisce davvero, non potremmo abbassare tutti i toni, noi che viviamo nella parte più fortunata del mondo?

Come ha detto Liliana Segre ai suoi odiatori: «Niente odio per chi odia. Mi chiedo perché tanta perdita di tempo nel breve atto della vita».

Che frase stupenda. Non perdiamo tempo a odiare nel breve atto della vita.

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