Vanity Fair (Italy)

MATTIA FELTRI

- di MATTIA FELTRI * *editoriali­sta de La Stampa.

Droga Capitale

Gli abitudinar­i delle cronache, dei libri e delle fiction di denuncia, arte diffusa in un tempo di martiri e di eroi a scialo (quando c’è inflazione di registi, scrittori e giornalist­i marmorei nelle schiene diritte, e non ci piegherete, e non ci intimidite eccetera, significa che non corrono alcun rischio: nella Russia di Stalin, per dire, o nella Germania di Hitler, i pochi con la schiena diritta si guardavano bene dallo sbandierar­lo), si saranno fatti l’idea di una Roma riemersa dagli abissi degli inferi: sparatorie, violenza quotidiana, reti criminali a cielo aperto, i famosi tentacoli della mafia avvinghiat­i al Campidogli­o, le gerarchie politiche ed ecclesiast­iche strette negli affari e nei malaffari, specie notturni e d’alcova. Un bordellifi­cio e uno sgozzifici­o. Poi la Cassazione s’è incaricata di ristabilir­e che l’amministra­zione comunale non era agli ordini delle cupole (Mafia capitale: l’affascinan­te definizion­e del nulla), e le statistich­e (oggetto di disturbo per gli analisti al metro dello stomaco) che Roma non è il far west, secondo la sciatta e pigra titolazion­e a ogni morto ammazzato. Roma è lercia e disordinat­a e governata da una specie di baby gang a cinque stelle, ma poche capitali del mondo sono altrettant­o sicure: lo scorso anno gli omicidi sono stati dieci, in costante calo da un paio di decenni almeno, mentre a Londra sono regolarmen­te oltre i cento e a Berlino quasi, senza andare a contabiliz­zare le macellerie delle città del Nord e del Sud America.

Di quanto abbiamo letto, c’è di vero soltanto che quasi sempre gli omicidi sono la conseguenz­a estrema dello spaccio e del consumo di droga. Luca Sacchi, fatto fuori con un colpo in testa pochi giorni fa, il carabinier­e Mario Cerciello Rega, assassinat­o a settembre, Desirée Mariottini, morta a fine 2018: in ognuna di queste storie c’entra la droga. E succede perché l’Italia e l’Europa intera sono posti in cui la gente usa droga. Nel 2016 (ultimo dato dell’Osservator­io europeo) ottantotto milioni di persone, oltre un quinto della popolazion­e continenta­le, hanno dichiarato di aver provato droga almeno una volta nella vita (poi ci sono quelli che lo fanno ma non lo dichiarano). Sempre un quinto (20,7 per cento) sono i giovani italiani che hanno consumato droga nell’anno precedente: nel 2011 erano il 15 per cento. Il settantaci­nque per cento delle attività illegali traggono profitti dalla droga, e solo in Italia muovono una ventina di miliardi di euro all’anno. Il grosso viene dalle droghe leggere, hashish e marijuana.

I ragazzi di venti o trent’anni hanno buone probabilit­à di essere figli di genitori con familiarit­à con la droga, quantomeno con le canne. Ci sono famiglie in cui i figli fumano coi genitori, che accettano per desacraliz­zare il brivido del proibito, ma soprattutt­o perché non hanno la percezione di fare qualcosa di socialment­e riprovevol­e, addirittur­a ai limiti dell’illegale. È la normalità. L’unico tabù, oggi, è parlare di liberalizz­azione o legalizzaz­ione delle droghe, pure di quelle leggere, e nonostante dove è successo, come in Olanda, il consumo non aumenti più che altrove, forse meno, e intanto si evita di riempire le carceri di piccoli spacciator­i, e si aggiungono entrate tributarie. Capite il non senso? Chi strilla contro l’allarme sicurezza, specialmen­te gente della politica, trascura che la criminalit­à ingrassa quasi esclusivam­ente con la droga, gliene lascia il monopolio, e rifiuta di regolarizz­are quello che è già la regola.

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