ROBERTO D’AGOSTINO
Mi amo, dunque mangio
Segno di progresso, oppure di regresso, la «caccia al lardo» che domina ormai dagli anni ’80 le pagine dei giornali? La nostra è una società nella quale è ormai impossibile ingrassare in santa pace. La vita è diventata un bieco giro vita. E la «gola» è il solo divieto da infrangere, forse il solo vizio da cui non ci siamo ancora liberati. L’unico tabù che può accendere una sommossa rivoluzionaria in questo benedettissimo Paese, dove, non dimentichiamolo, vige da sempre l’aurea e rispettatissima regola: «Mangiare è un diritto, digerire è un dovere».
Massì, la gola è una chance. Ci hanno tolto Dio, il Diavolo, la Rivoluzione, l’Amore per la selvaggina, il Tabacco, le Pellicce, il Sesso porcone... Non ci resta che mangiare. Sì, purtroppo, mangiare a menù sciolto è diventata l’estrema umiliazione, la massima turbolenza della specie umana. Ricchi o poveri, bianchi o neri, non si salva nessuno dalla maledizione della cellulite e del colesterolo, del ventre piatto e addominali a tartaruga.
E allora, contro i «lardominali»: diete, palestra, bilancia, pillole, interventi chirurgici, vomito bulimico, rimorsi a tavola. Attorno al cibo è nata la grande ossessione di fine secolo. «Gli obesi sono malati di mente», affermano i nazi-dietologi. E c’è pure il termine scientifico: «dismorfofobia», la sindrome della bruttezza immaginaria. Non dico che diventare ciccioni sia un reato, però dilaga l’idea che, cambiando le proporzioni del corpo umano, si varca la soglia della «diversità» e si penetra nel territorio del comico, del grottesco, satirico, buffonesco, ecc... Non per niente, nell’industria del cinema, la «panzona» illustra al peggio il siparietto della commedia all’italiana. Eccola lì, la zuccherosa Marisa Laurito, inchiodata al palcoscenico dai carboidrati, appesantita da caftani persino più ingombranti di una tenda «canadese», che agita spensierata un culone superbo come un fronzolo dipinto da Botero. A questo punto, raggiunto l’adipe dell’omino Michelin, giungiamo alla più profonda realtà: la diversità di peso agisce come una critica, un lazzo vergognoso, quasi a dire: ecco le vostre ruggenti esistenze ridotte in caricatura per lo scarto di pochi centimetri di grasso. Per molte femmine famose, la titanica (di sedere) Kate Winslet per esempio, il superamento della taglia 42 è una debolezza imperdonabile, una contagiosa fuga dall’ordine, ed è per questo che la si teme, la si rifiuta, la si vive come un’invincibile menomazione. Così le panze non circolano per i canali televisivi, dove invece dilagano i Panzironi. Nelle more del perenne dibattito sulla ciccia superflua, se ne sentono di tutti i colori (e dolori). C’è chi va più in là dello stomaco e profetizza una filosofeggiante «saturazione etica» del cibo. Insomma, una grande abbuffata ci seppellirà. Sull’altro piatto della bilancia, c’è chi invece promuove una sana rivolta contro la smania delle diete, un nuovo Sessantotto non politico, ma estetico-culinario, contro la repressione del Sistema (alimentare). Come dire: dietologi borghesi, ancora pochi mesi!
Esagerato? Tutt’altro. Se il corpo è da un pezzo una macchina sociale, il grasso rappresenta indubbiamente una grave infrazione. Per la donna ma anche per l’uomo la taglia non perdona. Diviso tra linea «cotica» e deviazioni alimentari, il disgraziato mangione italiano, quello che passa le sue serate al ristorante o compra sterminati ettari di pizza al taglio, non è felice. Vive iracondo, mortificato, in preda a una continua ansia: ogni incontro col peccaminoso ragù, ogni palata inferta al tiramisù è una minaccia all’estetica, oltre che alla salute. Da una parte. Dall’altra, mangiare è diventato il modo più facile di dire «mi amo». Gonfi di spaghetti e intontiti dal fritto misto, si continua a mangiare come compensazione, per chiedere scusa a se stessi della propria stanchezza e delle proprie preoccupazioni; e questa intuizione in apparenza così semplice, e invece così allarmante, è quella che giustifica la nostra gola profonda. Nel suo piccolo, l’irresistibile Nutella chissà quante delusioni avrà riscattato, chissà quante lacrime avrà asciugato.