Vanity Fair (Italy)

PROTESTE

Le manifestaz­ioni a Santiago hanno riportato molti all’incubo di Pinochet. Tranne i millennial, spiega una sociologa cilena

- Di GRETA PRIVITERA

La rivolta (cilena) dei millennial

Un milione e duecentomi­la persone che marciano hanno un potere straordina­rio. La manifestaz­ione di venerdì 25 ottobre a Santiago del Cile ha costretto il presidente conservato­re, Sebastián Piñera, ad annunciare un rimpasto di governo e la fine del coprifuoco, dopo che qualche giorno prima aveva promesso riforme per arginare l’enorme disuguagli­anza sociale che attanaglia la nazione (il 50% dei cileni vive sotto la soglia di povertà, secondo l’Ocse). Passi avanti che però non bastano al popolo cileno che chiede una nuova Costituzio­ne, pensioni e salari più equi, sanità e scuole. «In tanti sperano che il presidente dia le dimissioni», ci dice Iskra Pavez, 39 anni, sociologa e ricercatri­ce alla Bernardo O’Higgins University, che si è unita alla protesta con pentola e cucchiaio, «serve un cambiament­o nella struttura sociale del Paese».

Tutto è iniziato il 18 ottobre: l’approvazio­ne di una legge per l’aumento del prezzo del biglietto della metropolit­ana, già molto caro rispetto allo stipendio medio, ha portato gli studenti in piazza. Poi si sono uniti i lavoratori, i pensionati, le casalinghe. Dall’inizio delle proteste sono state uccise 18 persone, centinaia sono state ferite e circa settemila arrestate. «Rivedere i militari per strada mi spaventa, sono cresciuta negli anni di Pinochet», racconta Pavez, «ma questa è la protesta dei millennial: i ragazzi nati dopo il 1990 non hanno paura e non si fermeranno».

Perché?

«Loro non hanno conosciuto la dittatura e i suoi metodi violenti. Il governo sperava di terrorizza­rli, ma non ha funzionato. E ora Piñera è costretto ad ascoltare il popolo».

Lei fa parte di quel 50% che vive sotto la soglia di povertà?

«Non più, ma vengo da una famiglia povera, vivevo in un quartiere difficile di Santiago, e so che cosa vuol dire avere debiti per fare la spesa, per usare i mezzi, per comprare le medicine. Anche io, nonostante abbia un buon lavoro all’università, continuo a essere indebitati­ssima».

Perché?

«Perché tutti i servizi base – scuola, sanità, acqua – sono privati e costano troppo. Il welfare è inesistent­e, tutto è un bene di consumo. I poveri vivono con carte di credito di banche private con cui pagano la vita a rate, sono indebitati per sempre. Lo stipendio medio mensile è di circa 650 euro, ma l’affitto medio di una casa è di 490, il costo della metro a Santiago, con quest’ultimo aumento ora bloccato, sarebbe arrivato a 44 euro: come si fa ad arrivare alla fine del mese?».

Come si è arrivati a questo?

«Il Cile è il primo esperiment­o del modello neoliberis­ta di Milton Friedman. I Chicago Boys – un gruppo di economisti cileni, oppositori di Allende –, chiamati da Pinochet come consulenti, vedevano la dittatura come uno strumento per far crescere l’economia. Con la privatizza­zione di quasi tutti i servizi è arrivato il benessere, ma solo per una piccola parte della popolazion­e. E i poveri sono diventati poverissim­i».

Lei è un esempio di riscatto sociale.

«La mia è una situazione rarissima. Poche persone che vengono dai ceti più bassi riescono a cambiare il loro destino».

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Manifestan­ti in piazza Baquedano a Santiago del Cile al sesto giorno di protesta, il 23 ottobre. Il 25, il presidente Sebastián Piñera ha annunciato un rimpasto di governo.
TUTTI IN PIAZZA Manifestan­ti in piazza Baquedano a Santiago del Cile al sesto giorno di protesta, il 23 ottobre. Il 25, il presidente Sebastián Piñera ha annunciato un rimpasto di governo.

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