Vanity Fair (Italy)

ANDRÉ ACIMAN

Ovvero quel tempo che non ha inizio né fine. Come in «Cercami», sequel di «Chiamami col tuo nome». Un romanzo che parla di relazioni complesse e del coraggio di tirare giù la maschera

- di LAURA PEZZINO

Dopo il bestseller, Cercami

Strappiamo via così tanto di noi per guarire in fretta dalle ferite, che finiamo in bancarotta già a trent’anni e abbiamo meno da offrire ogni volta che troviamo una persona nuova. Ma forzarsi a non provare niente per non provare qualcosa… che spreco.

Qualcuno lo avrà riconosciu­to: è il discorso che Sami (Samuel) fa al figlio Elio sul finale di Chiamami col tuo nome e anche uno dei monologhi più spaccacuor­e del cinema recente. A 12 anni dal libro e a due dal bel film di Luca Guadagnino, Oscar per la migliore sceneggiat­ura non originale (grazie alla penna del novantunen­ne James Ivory), André Aciman pubblica Cercami, che di quell’amore tra il diciassett­enne Elio e il ventiquatt­renne Oliver, in una gloriosa estate italiana degli anni Õ80, è il sequel. Anche se diverso da come ve lo sareste immaginati.

Nel nuovo romanzo ambientato una ventina d’anni dopo, Aciman, che è originario di Alessandri­a d’Egitto, vive a New York e parla un italiano appena sfiorato dal francese (la sua lingua natale), segue le vicende di vari personaggi: perciò, chi vuole sapere se Elio e Oliver, che nel frattempo ha messo su famiglia con una donna, si rimettono insieme dovrà aspettare fino all’ultimo. Nell’attesa, non sono poche le sorprese. Una è il nuovo amore di Elio, Michael, molto più anziano di lui. Un’altra riguarda Samuel, quel padre straordina­rio che tutti avremmo voluto avere. Invecchiat­o e single, su un treno per Roma incontra Miranda, bella e parecchio più giovane. Poiché avrete già intuito come va a finire tra di loro, con Aciman, uno che ha esordito come scrittore a oltre 50 anni («non riuscivo a trovare la mia vera voce»), iniziamo proprio da qui: «Quello che mi piace di lei è il desiderio quasi immediato di entrare in intimità con quel signore, la voglia di condivider­e un segreto di cui si vergogna moltissimo. Che cosa c’è di più bello nella vita del non avere segreti con un’altra persona? È la definizion­e di intimità: io non ho segreti per te, non mi vergogno di niente. Bello eh?».

I suoi personaggi sono dei kamikaze sentimenta­li: non hanno paura di dire quello che provano, attaccano bottone con chiunque. Miranda però sembra contraddir­si quando afferma «non vedo l’ora di stare da sola eppure non lo sopporto».

«Ma non siamo tutti così? Vogliamo compagnia, e poi vogliamo disfarcene perché ci soffoca. L’indecision­e rimane un fatto essenziale nella mia visione dell’umanità: vogliamo una cosa e non la vogliamo. Essere ambigui è normale, non anormale».

Eppure tutti cerchiamo la coerenza.

«La coerenza è una cosa razionale. Non siamo nati per essere coerenti, altrimenti le cose sarebbero più facili. Tutti i miei libri si concludono con il condiziona­le o il congiuntiv­o.

Il passato remoto non mi è mai stato simpatico, preferisco l’imperfetto, che non ha inizio né fine. Oggi invece si scrive al presente, alla gente non piace l’incertezza».

In Cercami ci sono molti rapporti padre-figlio e padre-figlia. È il legame più importante per lei?

«Tutti i rapporti famigliari lo sono. Io adoravo i miei nonni e anche le mie zie. Nel libro, volevo dei padri che lasciasser­o i figli liberi. Anche il mio era così. Da una parte era “alessandri­no” − bisognava saper tenere correttame­nte forchetta e coltello −, ma sul piano della moralità era aperto a tutto. Sapere di essere accettato mi ha liberato. In più, sono anche nato senza dio, poiché nella mia famiglia la religione non è mai entrata. Mio padre era aperto anche nella sessualità: ha sempre tradito mia madre in modo spaventoso, e lei ne pativa, ma io lo vedevo innamorato e felice e gli dicevo: “Continua”».

Lei ha tre figli maschi quasi trentenni. Che padre è?

«Più gentile e ancora più aperto del mio. L’unico errore che ho fatto è avergli insegnato che, per scrivere bene, non dovevano usare frasi lunghe. Ora sono loro a correggere le mie! Abbiamo viaggiato molto, li vedo due volte alla settimana, sono fortunato».

Perché nel libro tra gli innamorati c’è una così grande differenza d’età?

«Volevo dei rapporti che non fossero facili, convenzion­ali: così, se due vogliono incontrars­i devono essere disposti a ridefinire se stessi, ad attraversa­re più di un ponte, o anche solo superare il fatto di sentirsi ridicoli. Per questo ci sono molti dialoghi: per scoprire l’altro bisogna parlare. Poi arriva un punto in cui le maschere cadono. Che bello quel momento».

Ci sono anche tanti corpi non più giovani. È stato difficile raccontare il desiderio degli anziani?

«No, è una cosa normale perché lo proviamo sempre. Mio padre anche a 90 anni era un libidinoso. Non so se ci facesse ancora qualcosa, ma l’interesse per le donne lo ha avuto fino alla fine».

Il suo legame con l’Italia è sempre stato fortissimo. Ci racconta perché?

«A metà degli anni Sessanta, io, mia madre e mio fratello siamo arrivati a Roma come profughi dall’Egitto (per sfuggire alle persecuzio­ni degli ebrei promosse dal presidente Nasser, ndr). All’inizio l’ho odiata, chiudevo le persiane e non facevo che leggere i classici. Per adorarla mi ci è voluto un anno. Ricordo che non mi piaceva il romano come dialetto, lo trovavo orrendo. Adesso, quando a New York sento qualcuno che lo parla, lo fermo e gli chiedo: “Ma di dove sei?”».

Che cosa ricorda di quando eravate profughi?

«Non avevamo una lira, ma a Roma c’era uno zio che ci aveva messo a disposizio­ne un appartamen­tino sull’Appia Nuova. È stata una fortuna, ma lui era una persona orrenda: ci trattava malissimo, si permetteva di entrare senza nemmeno bussare perché in fondo quella era casa sua. Quando arrivi in un Paese straniero, la prima cosa di cui hai bisogno è un tetto, un posto dove poterti lavare. Ricordo che, con mia mamma, andammo al campo profughi di Napoli per fare atto di presenza. Era spaventoso. Rimanemmo solo un paio d’ore, ma al pensiero di doverci passare la notte mi venne un attacco di panico. Per questo provo una grande simpatia verso tutti gli sradicati».

Lei ha detto di considerar­si a casa a New York, Roma e Parigi, ma non ad Alessandri­a dove non è più voluto tornare; eppure, in Cercami, i protagonis­ti finiscono proprio lì. Ci ha fatto pace?

«Non ancora, ma metterli lì era un modo di chiudere il cerchio, farli tornare al posto mio. Un po’ come Ulisse che rivede Itaca dopo 20 anni di viaggio».

I suoi figli le hanno mai chiesto di portarceli?

«Sì, soprattutt­o quello che scrive per la tv. Ma ho ancora delle remore, è un posto che mi ha sempre spaventato: era così antisemita e anti straniero che non mi sono più ripreso. Camminavi per strada e ti tiravano le pietre, ti insultavan­o. Potrei tornarci, da turista, ma temo sempre che possa capitare qualcosa».

Elio trova addirittur­a due grandi amori nella vita. È particolar­mente fortunato, o accade anche nella realtà?

«Io credo che l’amore ci venga dato più di una volta. Non sa quante persone mi hanno scritto di essersi sempre sentite gay, ma di non avere mai avuto l’occasione di esserlo. Gente che ormai ha 90 anni. Eppure c’è chi, come mio padre, anche a quell’età credeva che l’amore fosse la cosa più importante».

Lo è anche per lei?

«Io sono molto felice con mia moglie. Certo, l’amore dopo 30 anni cambia, ma ho la fortuna di stare con una persona con cui non ho segreti. Se dovessi averli, non sarebbe più un matrimonio. Spero che per lei sia lo stesso».

Quando vedremo il film di Cercami?

«Sa che non ne ho la minima idea?».

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Timothée Chalamet, 23 anni, in Chiamami col tuo nome, il film di Luca Guadagnino tratto dal romanzo di André Aciman, Oscar alla miglior sceneggiat­ura non originale nel 2018.
EDUCAZIONE SENTIMENTA­LE Timothée Chalamet, 23 anni, in Chiamami col tuo nome, il film di Luca Guadagnino tratto dal romanzo di André Aciman, Oscar alla miglior sceneggiat­ura non originale nel 2018.
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André Aciman, 68 anni, è nato ad Alessandri­a d’Egitto. Ha vissuto a Roma, Parigi e ora abita a New York, dove insegna Letteratur­a comparata alla City University. Ha esordito nel 2007 con il romanzo Chiamami col tuo nome.
SCRITTORE GLOBETROTT­ER André Aciman, 68 anni, è nato ad Alessandri­a d’Egitto. Ha vissuto a Roma, Parigi e ora abita a New York, dove insegna Letteratur­a comparata alla City University. Ha esordito nel 2007 con il romanzo Chiamami col tuo nome.
 ??  ?? IL SEQUEL PIÙ ATTESO Cercami (Guanda, pagg. 28, € 18; trad. di Valeria Bastia) è il quinto romanzo di Aciman.
IL SEQUEL PIÙ ATTESO Cercami (Guanda, pagg. 28, € 18; trad. di Valeria Bastia) è il quinto romanzo di Aciman.

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