di Simone Marchetti
Patrizia veste di giallo, d’azzurro e di verde smeraldo. Quando parla, si sposta il ciuffo da una parte all’altra del viso. È esile ma determinata come un soldato: i suoi occhi studiano lo spazio come se contassero quante persone ci sono e quanto tempo si può dedicare a ciascuna di loro. Quando entri nella sua villa a Torino, ti consegnano un foglietto, come ai musei: sull’opuscolo ci sono i nomi degli artisti e i titoli delle opere che si trovano sparse per l’abitazione, dalla piscina nel sotterraneo allo scalone del primo piano.
Patrizia non ha un cognome ma una serie di cognomi che somigliano al titolo di un romanzo: Sandretto Re Rebaudengo. Alla fine degli anni Novanta, in un viaggio a Londra, ha iniziato a collezionare le prime opere d’arte. Presto ha capito che più che possederle, quello che le interessava era mostrarle, condividerle con gli altri. Ha così trasformato un palazzo di famiglia a Guarene D’Alba, in Piemonte, in un museo. Poi, ha aperto una Fondazione a Torino, svegliando una città che oggi si trova a essere tra le più importanti nel panorama dell’arte contemporanea. Infine, nel 2020, sarà la volta di Madrid dove inaugurerà uno spazio espositivo.
Patrizia ha tutto quello che si può definire snob: la ricchezza, il gusto, le frequentazioni, le passioni, gli interessi. Ma basta parlarle, anche solo per un minuto, rubandola agli ospiti e agli impegni della recente Artissima (la tre giorni d’arte contemporanea a Torino), per capire che ci sono solo due cose e due soltanto a interessarle: la bellezza e la condivisione della bellezza. Non esiste altro. O meglio: il resto è solo una conseguenza.
Patrizia veste di giallo, d’azzurro e di verde smeraldo. Quando parla, si sposta il ciuffo da una parte all’altra del viso. È esile ma determinata come un soldato. In Italia, ci vorrebbero più persone come lei. Non per la ricchezza, il gusto o le frequentazioni. E nemmeno per i musei e le fondazioni. Ma per la fame di bellezza. E il desiderio di condividerla.
Buona lettura
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