Si mette (a) nudo... a teatro
Ma solo sul palco, dove interpreta un 40enne disoccupato e depresso che vive con la mamma. Nella realtà Nicolas Vaporidis si considera un sopravvissuto: a un padre che non c’è mai stato, a una donna che non c’è più, a un figlio che non c’è ancora
ESORDI E CONFERME
Esploso con Notte prima degli esami di Fausto Brizzi, il 38enne romano di origine greca tocca l’apice della carriera con una parte in Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott. Ora si afferma anche a teatro con The Full Monty - Il musical.
«Sei proprio tu?». È Nicolas Vaporidis a chiederlo. O meglio: a cantarlo, mentre varchiamo la soglia del Teatro della Luna di Milano. Tuta, sneakers e polvere da palcoscenico, l’attore sta ripassando un pezzo di The Full Monty – Il musical, trasposizione teatrale del film del 1997. Un panino al prosciutto dopo, il 38enne romano diventato famoso con Notte prima degli esami racconta che, per prepararsi al ruolo, ha dovuto studiare a fondo: «Due ore di canto al giorno, dallo scorso luglio. Un conto è cantare sotto la doccia, un altro è farlo qui, dove siamo in scena fino al 17 novembre». Due caffè e due sigarette fatte a mano dopo, spiega che – salvo l’ambientazione nella periferia torinese anziché a Sheffield, nello Yorkshire – la storia è fedele all’originale: un gruppo di disoccupati, per racimolare due soldi, allestisce uno spogliarello maschile. E offre il «servizio completo» (da cui il titolo del film, Full Monty - Squattrinati organizzati), cioè il nudo totale.
Anche voi a teatro offrite il «servizio completo»?
«Certo».
Grazie a un gioco di luci, però, l’effetto è un vedo non vedo.
«L’effetto è solo un “non vedo”! O, almeno, spero: il contratto che ho firmato diceva così».
In ogni caso, rimane nudo sul palco. Imbarazzato?
«Mi vergogno di più a cantare e a esprimere emozioni forti».
Perché?
«Perché Marcello, il mio personaggio, ti obbliga a portare a galla il dolore. È un fallito, vive con una madre soffocante, è gay ma non riesce neanche a dichiararlo. È il più sfigato di un gruppo di disoccupati sfigati».
Per metà della sua carriera ha interpretato sfigati. Per l’altra metà ha dato corpo ai vincenti. A quale categoria assomiglia di più?
«Alla prima. Sono il campione del mondo a fare lo sfigato. Tra l’altro, l’uomo che non deve chiedere mai mi sta pure sulle palle».
Cioè?
«Non capisco chi ha paura di mostrare le proprie fragilità. Io per esempio non mi vergogno a piangere».
L’ultima volta che le è capitato?
«Ieri. Cercavo appigli per diventare Marcello, un depresso: in questi giorni sto sfruttando tutto ciò che, nella mia vita, potrebbe aiutarmi a deprimermi. Ce ne sono di cose!».
Per esempio, il suo matrimonio fallito con la collega Giorgia Surina?
«Per esempio il non aver mai avuto un padre».
Le va di raccontare?
«Mio papà se ne è andato di casa che avevo due anni. Non siamo rimasti in contatto. Di lui non ricordo quasi nulla. È come se fossi nato non vedente: so che mi manca qualcosa, ma non so cosa. Però sono sopravvissuto».
Grazie a sua madre?
«Sì, lei ha sopperito ai vuoti. Aveva solo 26 anni. Ogni tanto ci penso: alla mia età era mamma di un bambino di 12».
Lei figli ne vorrebbe?
«Sì, non sono fatto per restare single».
Quest’estate è stato paparazzato in compagnia di una donna.
«Carola. È una fotografa con cui ho allestito una mostra. Oltre al lavoro di attore, io mi dedico a mille attività: amo la fotografia, ho una casa di produzione, un ristorante a Londra, Taverna Trastevere, tengo corsi di public speaking e sono parte del consiglio di amministrazione del Nuovo Imaie, una società che si occupa dei diritti di immagine di noi attori».
Sta tergiversando. È fidanzato?
«No».
Che cosa cerca in amore?
«La complicità».
Da idolo di una generazione, non avrà mai fatto molta fatica a conquistare una donna.
«Sbagliato. Ci sono state ragazze di cui ero innamorato che all’inizio non mi volevano».
Come le ha convinte?
«Io non sono certo un bello che ferma il traffico. Con le donne devo parlare».
Ci saranno anche alcune pronte a tutto pur di uscire a cena con un attore famoso.
«Non quelle che invito a cena io. E poi magari capitava di più subito dopo Notte prima degli esami».
Ha mai nostalgia di quel picco di popolarità?
«No, basti pensare che allora la gente mi fermava per strada chiamandomi Luca Molinari. Oggi mi chiamano Nicolas».
Oggi la fermano di meno?
«Va a periodi. Nessuno sta sempre in vetta, neanche Marlon Brando. La cosa importante, però, è che ho imparato a gestire la timidezza: a 24 anni le persone urlavano il mio nome, volevano una foto e io rimanevo pietrificato. Venivo scambiato per snob, ero solo terrorizzato. Poi ho capito come trasformare la paura nella mia migliore amica».
Come?
«La paura ti insegna a non sottovalutare mai una situazione, ma poi devi saperla domare, o sarà lei a domare te. Adesso, per esempio, sicuramente non si vede, ma sono molto nervoso nel rilasciare questa intervista».
A dire la verità, basta guardare la sua gamba, che non si è mai fermata da quando ha iniziato a parlare, per intuire che non è proprio rilassato.
«Non amo stare al centro dell’attenzione».
Non ha esattamente scelto il mestiere giusto, allora.
«Al contrario: i miei personaggi sono maschere».
E con le maschere si può dire tutto, anche la verità.
«Esatto. Io dentro la sofferenza di Marcello nascondo la mia. Così la esorcizzo».
Una sorta di psicoanalisi, quindi.
«Credo: non l’ho mai provata. Ma ho cercato di fare più teatro possibile: è terapeutico. Le assi del palcoscenico sono il mio lettino. Registi, attori e tecnici, i miei psicologi».
Che cosa ha imparato in tanti anni di teatro-terapia?
«Che l’amore è il motore di tutto. Senza quello, io non funziono».