The Report, il film «contro la Cia»
Arriva The Report, il film sull’uomo che rivelò le torture ai terroristi. Con il divo del momento
È il suo anno, non c’è dubbio. Padre sofferente in Marriage Story, figlio di Ian Solo nella trilogia di sequel di Guerre stellari il cui ultimo capitolo uscirà a dicembre, cittadino e investigatore modello in The Report. Adam Driver è la star perfetta per questi tempi incerti. Nel film diretto da Scott Z. Burns, The Report appunto, al cinema dal 18 novembre, interpreta Daniel J. Jones, un impiegato federale che lavora nello staff della senatrice Dianne Feinstein (Annette Bening) con il compito di indagare sulle tecniche di interrogatorio che la Cia sta usando con i terroristi fatti prigionieri subito dopo l’11 settembre. Per sei anni Jones passa le giornate chiuso in uno sgabuzzino senza finestre, analizzando documenti e mail, con uno staff ridotto al minimo e senza neanche una stampante, perché il materiale che sta trattando deve rimanere ultra segreto. Alla fine produce un documento di 6.700 pagine in cui vengono dettagliate le torture messe in atto dalla Cia che aveva appaltato gli interrogatori dei terroristi a due sedicenti psicologi esperti in tecniche di interrogatorio che si riveleranno non basate su dati scientifici. La Casa Bianca cerca di bloccare il tutto, ma grazie alla tenacia di Jones e della senatrice Feinstein il rapporto sulle torture diventa pubblico nel 2014 (e si può acquistare su Amazon).
«Jones è il classico tipo a cui affideresti la macchina, i figli, la casa. Tutto quello che vuole è fare bene il suo lavoro. Sono personaggi di cui raramente conosciamo la storia, animati dal senso di urgenza e di giustizia, capaci di mettere da parte le opinioni personali a favore dei fatti», dice Driver seduto accanto al vero Jones, alla prima del film al Toronto Film Festival. «All’inizio mi sono quasi sentito in colpa: di questa vicenda sapevo troppo poco. Ho scoperto per esempio che la tortura come mezzo per ottenere informazioni non funziona, lo dicono tutti gli studi. Sono stato nei Marines, mi sono arruolato subito dopo l’11 settembre e posso dire che non c’è gruppo più contrario alla tortura dei militari, degli uomini che combattono sul campo. Quando sei nella tua unità, circondato dai tuoi compagni, c’è il patriottismo, c’è il volere restituire al tuo Paese, ma non c’è mai la politica».