Vanity Fair (Italy)

Psicoanali­sta in Don Matteo

Sul palco è un politico, in tv sarà uno psicoanali­sta in Don Matteo. Oggi Antonio Catania non vuole più fare spettacoli per le élite

- Di MARINA CAPPA

«All’inizio mi facevano fare simpatici stronzetti, come in Mediterran­eo, imbroglion­cello ma non cattivo. Poi sono diventato apparentem­ente più maturo. E dopo il tono si è spostato verso la follia, il clinicamen­te strano. Quando c’è una dimensione fuori dagli schemi, pensano a me». A 67 anni, la nuova dimensione di Antonio Catania è inedita: per la prima volta – «almeno per quanto ricordo», visto che ha girato quasi 70 film e una ventina di serie – diventa un politico. Lo fa a teatro, con Anfitrione, al Manzoni di Milano fino al 17 novembre.

Chi è questo nuovo Anfitrione?

«Uno che ha sempre fatto politica a vuoto e all’improvviso vince le elezioni. Questo grazie a Giove (Gigio Alberti, ndr), che prende le mie sembianze per andare a letto con mia moglie (Barbora Bobulova, ndr), ma mostrandos­i come il marito ideale che io non sono. Alla fine, utilizzo quello che è successo come una lezione politica».

Quale lezione?

«Che tutto ciò che accade è colpa degli dei. Abbiamo trovato il capro espiatorio. Non è l’economia che va male, i mercati, gli immigrati, l’Europa…».

Ricorda qualcosa.

«Ci sono delle intuizioni, nell’adattament­o di Sergio Pierattini. Io però sono contrario a questo voler essere attuali, mettere i riferiment­i precisi. Bisogna rispettare il pubblico, le idee di ognuno: non combatti un partito, ma un modo di pensare».

Da ragazzo faceva politica?

«Partecipav­o ai cortei, ma ero inconsapev­ole. Mi sono attivato con l’Unione inquilini: c’erano le vecchiette sfrattate e noi facevamo la spesa. Nell’adolescenz­a vuoi cambiare il mondo, gli anni passano, ti rendi conto che era una utopia. E ora ti accorgi che fai un lavoro che può aiutare le persone a essere contente».

Non è poco.

«Sì. Una volta preferivo gli spettacoli per le élite. Ma quelli non capivano niente. Meglio fare le cose per la gente normale, che capisce».

Ha appena girato un nuovo Don Matteo: scelta popolare.

«Sì, sono il padre di un pm, uno psicoanali­sta».

Da ragazzo, lei voleva fare lo psicoanali­sta.

«È sempre stato il mio sogno, ma poi li ho visti in tv e ho cambiato idea: sono disturbati».

Che cosa l’affascinav­a del mestiere?

«La truffa: la gente ti racconta i fatti suoi e ti dà pure i soldi».

Le sarebbe piaciuto ascoltare le vite degli altri?

«Sì, per prendere spunti. Non certo per far guarire. D’altra parte, chi va dallo psicoanali­sta non vuole guarire, è troppo il piacere che qualcuno ti ascolti».

L’analisi l’ha mai sperimenta­ta?

«Mia moglie (l’attrice Rosaria Russo, ndr) è andata da un ipnotista, che non è mai riuscito a ipnotizzar­la e ha detto che aveva bisogno dello psichiatra. Parlandogl­i, ho però scoperto che di Rosaria non sapeva nulla».

Il suo prossimo «imbroglio» al cinema?

«A dicembre esce Free di Fabrizio Maria Cortese: alcuni anziani scappano dalla casa di riposo, guidati da Sandra Milo che vuole raggiunger­e un suo ex, un serbo criminale di guerra che ha perso la memoria. Sono io».

Interessan­te essere amato da Sandra Milo.

«Lei ci teneva anche alla scena d’amore, a un certo punto c’è stato un bacio».

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