Vanity Fair (Italy)

La Buonanotte di Luca Dini

- BUONANOTTE. PAROLE PER RIMBOCCARE LE LENZUOLA — di LUCA DINI * Seguiteci sulle Instagram Stories di @sonolucadi­ni — Scriveteci a buonanotte@vanityfair.it *Direttore Editoriale Condé Nast

A 22 anni ho preso un 29 perché «le avrei messo 30 ma la scollatura non lo merita, non lascia margini di approfondi­mento». E io zitta e offesa, ma incapace di reagire perché certamente io, ma ritengo molte, non sono stata in grado di difendermi come riuscirei a fare oggi. NATASCIA

Solo ora, che ho i capelli bianchi, avrei quel giusto pelo sullo stomaco per denunciare comportame­nti così smaccatame­nte odiosi. Ma quando hai poco più di 20 anni tendi ad avere atteggiame­nti reverenzia­li per un professore o un capo, e a temere le conseguenz­e – perdo il lavoro, non passo quell’esame. Dovrebbe essere materia di studio alla scuola dell’infanzia: diritto al rispetto. BARBARA

Mio marito sta montando una tenda in cucina, in bilico su una scala. Arriva sul cellulare un messaggio di mia figlia, che ha quarant’anni e vive in Norvegia. Lo leggo e lo rileggo più volte, l’ultima ad alta voce. Nostra figlia aspetta un bambino per inizio luglio (siamo a marzo) e spera che la bella notizia sia accolta con gioia da noi, che mai avremmo pensato di diventare nonni. Lei ha una compagna, vivono in Norvegia, in una grande casa di legno in campagna. Di un bambino non hanno mai parlato.

Mi sento ferita, confusa. Perché ci sentiamo tutti i giorni, parliamo, ridiamo insieme, e io credo di avere con lei un bel rapporto, seppure a duemila chilometri di distanza: ma di questo desiderio, mai una parola. Mio marito esulta, e invece io, che mi sono sempre considerat­a una persona aperta, questa volta ho l’impression­e di non essere in grado di capire. Così inizio a scrivere a questo bambino, che sta arrivando a bordo di una navicella di cui ignoravo l’esistenza. Gli scrivo quasi ogni giorno, gli confido i miei dubbi, gli racconto chi sono, gli spiego che nonna vorrei essere. Perché grazie alla scrittura, da sempre, riesco a riordinare i pensieri, a vedere le cose con più calma.

E poi arriva luglio, in un turbinio di sensazioni, di parole non dette, di emozioni che prendono il sopravvent­o sulla razionalit­à. E dopo una lunga notte di attesa, in cui davvero quei 2.000 chilometri li sento sulla pelle, arriva la foto di Robin, uno scricciolo (no, un pettirosso) di 3 chili. Se sono felice? Non so nemmeno descrivere quello che provo. So solo che tutti i dubbi sono stati archiviati da quell’esserino che non mi può vedere ma che c’è, ed è bellissimo.

A settembre trascorro un mese con lei, che mi regala i suoi primi meraviglio­si sorrisi, e mi aiuta a capire il vero senso dell’accogliere. Questa bambina è arrivata sui colori dell’arcobaleno. Non so come sarà il suo futuro, ma so che grazie alle sue due mamme sta crescendo con tutto l’amore di cui un bambino ha bisogno, forse anche di più. SONJA

Vi avevo chiesto: parliamo di molestie? Perché così si chiamano, e poco mi interessa se la Procura di Milano ha archiviato nei giorni scorsi l’inchiesta a carico di Francesco Bellomo, magistrato, docente e proprietar­io di una scuola di preparazio­ne al concorso in Magistratu­ra, nonché ex giudice del Consiglio di Stato. Ex perché la carica è stata revocata quando si è scoperto che Bellomo faceva firmare alle aspiranti borsiste un contratto in cui richiedeva un dress code che andava da «Gonna molto corta (fino a 1/3 della lunghezza tra girovita e ginocchio)» a «Pantaloni aderenti + maglia scollata», e le bersagliav­a poi con pressioni personali: si parla di telefonate notturne, battute pesanti sui fidanzati, divieto di sposarsi, avances sessuali.

L’indagine scatenata dalle denunce delle allieve della sede di Bari è ancora in corso, ma a Milano il gip ha ritenuto che non ci fossero i presuppost­i penali per parlare di molestie e minacce: i «contatti» con il professore, così come la sottoscriz­ione del contratto, sarebbero una «libera volontà» delle borsiste, che avrebbero potuto rifiutarsi di firmare e continuare le lezioni come normali studentess­e; e il timore di essere per rappresagl­ia espulse dalla scuola, o di non superare il concorso, sarebbe «uno stato soggettivo autoindott­o». Ora, detto che in un Paese civile un professore che va a letto con uno studente (anche maggiorenn­e) dovrebbe perdere la cattedra, mi chiedo come si possa sostenere che quelle di Bellomo non siano molestie, e come si possa parlare di «libera volontà» di giovani donne di fronte a un uomo capace di cambiare le loro vite.

Di questo vi avevo chiesto di parlare. Poi è arrivata la lettera di Sonja, che non potevo non pubblicare, e che conferma due cose. Primo, molte cose ci fanno paura finché non le viviamo. Secondo, una mamma extra può essere più utile di un pessimo padre. (Un tale magistrato, per dire.)

Buonanotte.

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