EMILIA CLARKE La leggerezza di essere imperfetta
Da onnipotente madre dei draghi a romantica casinista. Emilia Clarke racconta la leggerezza di essere imperfetta, almeno sullo schermo. Perché nella vita, invece, c’è una vocina dentro...
Nella mia casa Emilia Clarke non è un’attrice, è una divinità, una forza cosmica nata nella tempesta, «una distruttrice di catene» capace di stabilire la pace con barbari e schiavi. Lei partorisce draghi, poi li doma. In suo nome sono stati acquistati parrucche, vestiti, amuleti, animali. Nonostante io abbia visto poche puntate del Trono di Spade, nel mio telefono ci sono circa tre chat attive con il viso di Emilia come icona. Credo di aver partecipato di riflesso a discussioni infinite sul grave cambiamento caratteriale di Daenerys Targaryen dell’ultima stagione, sicuramente ho assistito a momenti di forte emotività. Il mio compagno mi ha inveito contro: «Tu non puoi capire perché non guardi il Trono di Spade», e ha subito aperto una nuova chat escludendomi dal giro. Io poi ne ho aperta un’altra per gli outsider della serie, ma alla fine tra di noi ci ritrovavamo comunque a parlare di Emilia Clarke. La Mother of Dragons è stata una presenza certa nella mia vita degli ultimi otto anni, qualcuno a cui essere incondizionatamente devoti, simbolo di purezza e superiorità morale. L’abbiamo associata a qualcosa di etereo, un elemento traslucente e angelico a cui siamo riusciti a perdonare anche il fatto di averci messo così tanto tempo prima di farsi la scopata del secolo con Jon Snow.
E per questo, ritrovarla nel film Last Christmas di Paul Feig, accompagnata dal tintinnio delle campanelle sulle sue scarpe, conseguenza irritante del suo lavoro da elfo in un negozio natalizio aperto tutto l’anno, è stato uno shock. Ma anche un sollievo. Faccio un grande tifo per la sospensione del fantasy epico a favore del grande ritorno della commedia romantica. Soprattutto se la commedia romantica in questione ha una colonna sonora tutta degli Wham! (per me non esiste il Natale senza la voce suadente di George Michael che canta Last Christmas di sottofondo). Amo piangere al cinema, emozionarmi come una tredicenne, vedere film in cui si sospende il realismo a favore degli ormoni. In Last Christmas, la protagonista Kate (Clarke) si ritrova a vagare per Londra, alle prese con le conseguenze di una serie di decisioni sbagliate. Poter vedere il suo personaggio che finisce a letto con una sfilza di uomini inadeguati, invece che sussurrare il suo «Dracarys» per ordinare a uno dei suoi draghi di ardere vivo qualcuno, è un piacere proibito quasi pari a quello che ho provato la prima volta che ho visto Billy Bob Thornton vestito da Babbo Natale alcolizzato che insultava pesantemente un bambino in Babbo bastardo. Kate arriva in ritardo a tutti i suoi appuntamenti, nonostante i suoi venticinque anni ha un rapporto conflittuale con sua madre – interpretata da Emma Thompson, che ha anche scritto la sceneggiatura – come se ne avesse quindici. È un disastro di egoismo e instabilità ed è impossibile non volerle bene. Rapportarsi a lei, nelle vesti di una ragazza che ha fatto tutto male, è goduriosissimo. E anche Emilia Clarke è felice di poter fare un detour in un mondo dove i modelli femminili non sono tenuti ad avere il controllo di imperi ed eserciti.
Emilia, ci ha fatto piangere. Ha inaugurato il ritorno ufficiale della commedia romantica al cinema. Era ora.
«Vero? Amo le commedie romantiche e mi mancavano da morire. I film che mi fanno avere emozioni forti sono i miei preferiti».
Interpreta un personaggio disordinato, confuso, che fa tutte le scelte sbagliate. Ha vissuto la libertà di poter perdere il controllo dopo dieci anni di potere assoluto.
«Prima di fare il Trono di Spade ero in uno stato di caos interiore abbastanza simile a quello di Kate. Ossia, quel momento della vita in cui ti guardi allo specchio e dici: “E cos’è che dovrei fare di me stessa ora?”. L’età che va dai venti ai trenta è quando ti rendi conto tutto d’un tratto di non essere più un adolescente, ma decisamente neanche un adulto. E ti stupisci: “Cioè vuoi dire che non ho più diciott’anni? Ok, però non ne ho neanche trenta!”. Sai che devi arrivare alla meta, ma non vuoi dover fare tutta la strada. Ti vuoi divertire e non capisci cosa siano le responsabilità. Mi è piaciuto tantissimo potermi calare nel ruolo di qualcuno che si vuole divertire, che non ha bisogno di avere sempre ragione o di essere saggia, che non ha bisogno di essere bella. Può essere incasinata e maleducata, si può annoiare da morire. Sono felice perché in questo momento ci sono così tante serie e film con protagoniste donne che non sono perfette. Cosa che in effetti non siamo. Ma nessuno di noi lo è, gli esseri umani sono un gran casino, uomini e donne. Non si sfugge. Questa fuga è stata una gioia».
Proprio in quella decade in cui ci si può prendere il lusso di essere confusi e fare scelte equivoche ha cominciato a lavorare al Trono di Spade. Sente di essersi persa l’occasione della vita per «fare tutto male»?
«Sì, sono stata travolta dal peso di avere una grandissima responsabilità verso la serie, ma sentivo anche di essere una giovane donna a cui era stata data una grande occasione. Sapevo che era un onore e un privilegio poter essere lì e non volevo sprecarlo, non volevo distruggere con la foga e la confusione dei vent’anni una cosa così grande. Non volevo deludere gli altri e non volevo deludere me stessa. Non so se lei se n’è accorta, ma sono molto dura con me stessa».
L’ho capito leggendo il suo personal essay sul New Yorker in cui ha raccontato per la prima volta di aver avuto due aneurismi cerebrali durante le riprese del Trono di Spade, e di aver insistito per tornare subito sul set.
«Il saggio che ho scritto è stato terapeutico e ho scelto il New Yorker perché a dirigerlo c’è David Remnick e perché amo scrivere. Ma questo non significa che io non abbia comunque vissuto il lutto di una gioventù non vissuta. All’inizio del mio lavoro pensavo “cavolo, dovrei essere lì fuori a divertirmi come gli altri: vento nei capelli, niente responsabilità, libertà totale”. I miei amici mi guardavano e mi sgridavano dicendo che non avevo nessun diritto di lamentarmi, e avevano ragione. In ogni caso, il mio senso di responsabilità è radicato nel mio Dna, non ci posso fare nulla. Sono bilancia ascendente scorpione».
In qualche modo questa è anche la ragione per cui è sopravvissuta.
«Penso di sì. Il mio monologo interiore, quando sono stata in ospedale, è sempre stato: “Non ho tempo per pensare a questioni di vita o di morte. Devo andare avanti. Devo tornare al lavoro”. Quel monologo non era un peso, era la mia motivazione. È da lì che viene la mia ambizione ed è al 100% la cosa che mi ha salvato la vita. Siamo così abituate a essere sminuite, le persone pensano che una non sia in grado di fare qualcosa a causa di un paio di tette. La sfida di voler dimostrare il contrario è stata la cosa che mi ha tenuto in vita».
Nella vita di tutte le donne di successo che si fanno in quattro, e che magari mettono a repentaglio anche la loro salute per realizzare i propri sogni, ci sono i rimproveri degli amici e parenti: «Ti stai stancando troppo / stai facendo troppe cose / riposati!». Chi ricopre questo ruolo di «poliziotto della salute» nel suo mondo?
«I miei più cari amici non sono celebrity e sicuramente hanno i piedi per terra più di me. La mia assistente a volte mi prende fisicamente e mi dice “adesso fai una pausa” o “vai in vacanza. Non puoi dirmi di no perché ti ci sto portando di forza”. Lo scorso agosto sono andata in India. Ci crede che è stata la prima volta in tutta la mia vita in cui mi sono presa una pausa? Mi ammalo e tutti scherzano: “Eccola lì, Emilia si è ammalata di nuovo, ha la febbre, l’influenza, un sistema immunitario da buttare via”. Io insisto a lavorare venti ore al
giorno e portare avanti i progetti. Dico sì a tutto senza alcuna considerazione del fatto che il tempo è un dato oggettivo. In teoria, si possono fare solo un certo numero di cose in una giornata di 24 ore, ma per me non è così. Per me il tempo non esiste».
Il senso del tempo cambia parecchio in India.
«Sì, è stato incredibile, ho capito il concetto di spazio per un istante. Chissà, magari riuscirò a tenere il passo, ma farlo quando sei molto impegnata è impossibile. Poter accedere, fisicamente, praticamente ed emotivamente allo spazio è il più grande lusso che ci sia. Spazio e tempo: se hai la possibilità di permetterteli nella vita, fallo! Se non ce l’hai, cerca di trovare il modo per guadagnarteli».
Fa meditazione?
«Sì, e anche yoga. Dopo le emorragie, facevo solo yoga e Pilates perché mi dissero che non potevo sollevare mai più pesi. Ovviamente adesso faccio di nuovo tutto».
Prima di cominciare questo nuovo film e di aprirsi a un personaggio così diverso come Kate in Last Christmas, ha vissuto un lutto per la fine del Trono di Spade?
«Assolutamente sì. È da pochissimo che sono riuscita ad avere una visione oggettiva del Trono di Spade. Solo oggi, con un filo di distacco, riesco a dire: “Wow, è stata un’esperienza davvero unica”. Ma mentre ci stavo dentro non avevo alcuna percezione di nulla, ero solo spaventata a morte all’idea di mandare tutto a monte. Non mi fidavo di me stessa. Altra cosa molto femminile: avevo il terrore di rovinare tutto».
Ma non avrebbe mai potuto rovinare tutto, lei!
«Quando la serie è finita per sempre, la porta che avevo chiuso a chiave così bene, si è spalancata da sola. Attraversare questo momento è stato come attraversare una giungla. Devo permettere a ogni emozione che decide di venire a galla di avere il suo spazio. Oggi c’è un nuovo precipizio da cui saltare. La cosa bella è che ora so di avere tutto il tempo per decidere».
Con tutto quello che ha vissuto, già così giovane, sente che la parte più difficile della vita sia passata?
«Sì. La saggezza non è facile da ottenere e spesso si conquista attraversando il dolore. Ho capito che la vita ha voluto insegnarmi tante cose. Arrivare a essere saggi è una cosa che costa fatica».
È felice?
«Sì!».
Con chi le piacerebbe lavorare e che cosa le piacerebbe fare?
«Con quanti più autori possibili. Persone che ammiro. Non mi interessa se mi pagano venti penny per un ruolo, non mi interessa se poi magari il film lo vedono solo mia madre e il cane, sono affamata di esperienze. Vengo dal teatro, ho voglia di tornare a quelle radici, non vedo l’ora di salire di nuovo sul palco. Sono anche affascinata da questa lotta tra il mondo del cinema e il mondo delle serie. Mi sembra tutto così florido adesso. Penso di voler comunque fare più cinema che serie. La televisione richiede tantissime ore e adesso ho voglia di poter vedere la luce alla fine del tunnel».
Con Emma Thompson, che interpreta sua madre in Last Christmas, avete fatto un lavoro incredibile. Immagino che lei sia stata una mentore.
«Aver avuto la possibilità di lavorare con Emma Thompson è in cima alla lista delle cose di cui sono grata. Mio padre fu il sound designer della sua prima pièce teatrale, Me and My Girl, quindi sono cresciuta in una casa in cui mia madre diceva sempre: “Tuo padre è innamorato di Emma Thompson!”».
Deve essere stato bello tirare fuori il suo talento comico per questo film.
«Emma mi ha guidata in questo, mi ha nutrita. Mi ha permesso di essere un po’ un clown. Lei è forte, ma anche buffa, materna, feroce: è tutto. La cosa più importante che mi ha insegnato è: fai ciò che ti rende felice. Se una sera ti va di ubriacarti in maniera molesta, fallo! Se una sera vuoi fare yoga, bere camomilla e leggere Brecht, fallo! Sembra facile, ma è difficilissimo non vergognarsi di ciò che ci rende felici. Mi ricorderò sempre una puntata di Sex and the City in cui si parla delle cose strane che mangiamo quando siamo da soli e Carrie ammette che ama i Ritz carichi di formaggio. Bisogna arrendersi ai propri piccoli peccati».
C’è una cosa che devo sapere a tutti i costi. Come l’ha presa quando ha letto l’ultima puntata del Trono di Spade (spoiler alert) e ha scoperto la fine che l’aspettava?
«Ero in aereo e ho visto che era arrivata la mail con le sceneggiature dell’ultima stagione. Ho annullato tutti gli appuntamenti per il giorno successivo e mi sono svegliata all’alba. Ho posato il mio tè sulla scrivania, ho fatto spazio sul tavolo e ci ho messo sopra le sceneggiature. Le ho lette tutte d’un fiato, poi, in stato confusionale, sono uscita di casa e ho camminato per ore in giro per Londra, fino a quando non mi sono venuti i calli. Non potevo parlarne con nessuno, è stata una tortura. Ho mandato un messaggio vocale a Kit (Harington, l’attore che interpreta Jon Snow, ndr) che mi ha detto che non avrebbe letto fino al momento della lettura di gruppo. Nessuno del cast aveva avuto il coraggio di scriversi messaggi, perché eravamo tutti troppo terrorizzati. Quando ci siamo visti, ci siamo chiesti: “Come stai?”. Ed è stata come una seduta di terapia di gruppo».
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