AUTISMO La scelta non facile di una madre
Luca è un ragazzo affetto da autismo. Sua madre racconta la loro vita felice e la scelta non facile di lasciarlo andare a vivere in una casa famiglia. Il primo indispensabile passo del «dopo di noi»
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Tra qualche giorno, Luca compie 23 anni. E come tutti gli anni, la sera prima gli impacchetteremo dei regalini e li lasceremo sul tavolo della cucina, così che la mattina, a colazione, se li ritroverà davanti. E come tutti gli anni, Luca non vorrà aprirne nessuno. Lo faremo noi per lui. Quando gli chiederemo se gli piacciono, dirà un chiaro e inopinabile «No!» e se ne tornerà in camera sua, senza ringraziare.
No, non è antipatico. Luca è autistico a basso funzionamento, e, nel suo mondo, i compleanni non hanno nessun valore. Come non ha nessun valore ringraziare, salutare, ma neanche avere una carriera, una famiglia, degli amici, una vita indipendente. Luca, come i suoi colleghi autistici, assapora ogni momento della vita come se fosse l’ultimo, con l’entusiasmo di un bambino. Vivere con Luca è come vivere con una persona di un altro pianeta. Ho dovuto, in questi anni, imparare alcune regole del suo mondo e del suo linguaggio non verbale. È una realtà, la sua, molto morbida, molto semplice, slegata da tutte le mille regole che abbiamo impostato noi, in questo mondo che lui non capisce.
A differenza di molte altre persone autistiche, che non amano essere toccate, Luca è estremamente affettuoso. Non con tutti, s’intende. Al mondo, ama più di tutti me. Appena mi vede, anche se mi ha visto un minuto prima, mi si attacca al collo per uno dei suoi abbracci un po’ goffi, un po’ troppo stretti, ma pieni di un amore puro, primordiale. I suoi baci, sempre troppo umidi, sono più dolci del miele. Gli piace ancora sedersi in braccio a me e farsi coccolare, anche se ormai mi sovrasta in centimetri. Io sono la sua sweety, sono la ragione della sua vita. E lui della mia. Un’altra persona che riceve lo stesso amore incondizionato da Luca è mia mamma, che però vede poco, perché noi abitiamo a Boston e mia mamma a Milano. Fino a qualche anno fa, la nonna Franca veniva qui a festeggiare con noi il compleanno di Luca, e per lui era come se arrivasse Babbo Natale. Mentre stava qui, lui se la portava in giro mano nella mano come i bimbi piccoli si portano il loro peluche preferito. Adesso che mia mamma non viene più, andiamo noi da lei. Viaggiare con Luca è sempre complicato, ma all’amor non si comanda, e, per la nonna, Luca è disposto ad attraversare l’oceano senza battere ciglio.
Un altro amore di Luca è la musica, ma anche in questo è estremamente selettivo. Negli ultimi due anni ha ascoltato quasi esclusivamente
Gianna di Rino Gaetano. Non gli piace molto la versione originale, e con una maestria incredibile, anche perché non sa scrivere, cerca su YouTube tutte le cover possibili e immaginabili della canzone. In macchina, invece, si può ascoltare unicamente Stevie Wonder, e soltanto alcune canzoni, dettagliatamente selezionate, tratte dal disco Songs in the Key of Life. Per anni ha invece ascoltato solo James Taylor, che a volte riaffiora ancora nel suo repertorio. Abbiamo avuto anche la lunga fase della colonna sonora di Oh Brother Where Art Thou, il film dei fratelli Cohen. Ogni volta che Luca ascolta Gianna è come se l’ascoltasse per la prima volta, si mette a ballare in tondo, sorride, è felice.
Ma Luca è sempre felice. Luca, che noi chiamiamo mister Shmoo, è nato per essere felice: sorride la mattina appena sveglio, sorride quando esce dalla doccia, quando mio marito Dan lo asciuga e lo veste. Sorride mentre fa colazione (sempre la stessa, tutte le mattine), sorride quando cammina in cerchio attorno alla sala mentre aspetta il suo pulmino, sorride quando è al centro diurno, sorride quando torna.
Non è solo il suo sorriso a conquistare le persone che frequentano mister Shmoo. Sono anche il suo affetto senza filtri, la sua dolcezza infinita, il suo sguardo strano sul mondo, il suo inconsapevole contributo nella vita di chi adora, la sua incommensurabile vulnerabilità a rendere mio figlio la persona più straordinaria del mondo. Ma, a parte tutti questi sorrisi e questo infinito, dolcissimo amore, la vita con un gigante rimasto bambino è estremamente complicata.
Ho conosciuto mio marito Dan quando avevo solo diciannove anni a una festa durante un anno passato negli Stati Uniti. Il nostro amore da romanzo rosa mi aveva convinto a trasferirmi a Boston qualche anno dopo. Ci siamo sposati che eravamo due studenti senza soldi, e quando sono rimasta incinta pensavo, come tutte le mamme in attesa, che nostro figlio sarebbe stato bellissimo, intelligente e simpatico. Ah, e bilingue: sicuramente bilingue.
Poi, un venerdì sera qualunque, mentre Luca, che aveva un anno, sedeva sul girello verde e mi ascoltava mentre io gli cantavo Alla Fiera Dell’Est squillò il telefono. Era la sua pediatra: «Luca ha una forma strana di sindrome di Down. Non ne so molto, ma sicuramente potrai trovare delle informazioni in rete».
Clic.
Con la cornetta ancora a mezz’aria, mi misi
A parte i sorrisi, la vita con un gigante rimasto bambino è molto complicata