PIERA DEGLI ESPOSTI La passione e la pazienza
La pazienza con cui ha affrontato i tanti «no». La passione per il teatro che permette di muoversi come un aeroplano sul palco. L’attrice, passati gli 80, vive un momento placido, senza ansia, senza rimpianti. Tranne uno, che riguarda l’amore
Nella bella casa romana, dove in passato il suo amore Marco Ferreri la raggiungeva ansimando sulle scale (ma adesso c’è l’ascensore), Piera Degli Esposti è reduce da mesi complicati, da polmoni sofferenti. Adesso però sta bene, possiede ancora gli entusiasmi di sempre. E il dono dell’immaginazione. Quella che ai voli in aereo le fa preferire quelli della fantasia, perché «a me la bellezza delle cose, dei fiumi piace fantasticarla. Ho scelto un mestiere che mi ha portato a viaggiare. Ma mentre tutti si scaraventano fuori, ai musei, io non ho nessuna dimensione turistica né esploratrice».
Sono altre le sue esplorazioni. Nel mondo del cinema, diretta da Nanni Moretti, da Pier Paolo Pasolini, dal Ferreri di Storia di Piera, da Marco Bellocchio nell’Ora di religione… Nel teatro. E nella tv: a 81 anni, l’attrice è di ritorno sugli schermi televisivi con Ognuno è perfetto di Giacomo Campiotti (su Raiuno il 16, 17 e 23 dicembre), storia anche qui di un viaggio, compiuto da un ragazzo con la sindrome di Down.
Neanche da piccola amava viaggiare?
«No, da bambina però mio padre ci portava le domeniche ai musei, mi incantavo davanti a Tiziano e ci volevo sostare a lungo. Una volta, a Ravenna, sono rimasta chiusa dentro Sant’Apollinare: guardavo i mosaici, gli altri sono usciti, la porta si è chiusa e io sono rimasta lì, da sola con l’impero di
Bisanzio. Ero colpita dalla somiglianza dell’imperatrice Teodora con mia cugina, con l’occhio un po’ in fuori. Io amo la lentezza nel fare le cose, e nei viaggi oggi nessuno va piano».
La lentezza è compatibile con il mestiere d’attrice?
«Questo lavoro mi ha concesso di vivere con grande libertà della mente. Certo, il cinema mi costringeva ad alzarmi presto, cosa che detesto. In teatro invece le prove hanno qualcosa di conventuale, silenzio, buio. Il rovescio del set, illuminato e con tutti che parlano mentre tu devi star lì a concentrarti. Insomma, la fantasia l’ho esercitata più a teatro. Paolo Sorrentino (Piera era la segretaria di Andreotti nel Divo, ndr) ha detto che gli sembravo un po’ distratta prima di girare, ma è perché io cerco di astrarmi mentre aspetto il ciak. Giuseppe Tornatore (l’ha diretta nella Sconosciuta, ndr) invece mi chiedeva: “Hai avuto molta pazienza nella vita?”».
L’ha avuta?
«Sì, nel lavoro, con tanti tentativi andati a vuoto, bocciata dappertutto. Avevo così pazienza che all’ennesimo provino non riuscito andavo a consolarmi a Botteghe Oscure, dove lavorava mia sorella e c’erano Nilde Iotti e Luciana Castellina che mi dicevano: “Vedrai che ce la farai”. Il teatro proprio non mi voleva».
E il cinema?
«Ero grata ai film, perché mi avevano fatto lavorare. Luigi
Zampa (girarono nel 1973 Bisturi - La mafia bianca, ndr) diceva che io avevo una faccia da cinema».
In che senso?
«Secondo lui, nel mio viso c’era un che di comico e insieme di drammatico. Una faccia che non recitava. Poi ho lavorato con Pasolini in Medea, con i Taviani in Sotto il segno dello scorpione».
Sono passati cinquant’anni da quei film.
«Sì, e mi sono affezionata al cinema perché mi voleva, mentre in realtà io volevo il teatro».
Perché il teatro?
«Avevo bisogno di uno spazio “aeroplanistico”, da poter riempire con le braccia aperte, i movimenti delle gambe, girando su me stessa. Al cinema non c’era il fisico, invece, era tutta recitazione “centimetrale”».
Nella sua età oggi come si sente?
«È un’età allegra, mi piace abbastanza questa idea di vita più placida. L’anzianità è meno ansiosa, se non c’è la malattia».
Quali sono state le sue ansie?
«La più importante era arrivare ad affermare il mio modo di recitare, me stessa, far accettare la mia diversità. Avevo l’ansia di non riuscirci. Invece ho avuto il piacere di vedere che quei “no” che ho ricevuto sono diventati “sì”. C’è voluto tempo, ma adesso mi dicono quasi tutti che sono brava.
La vecchiaia è come una buona pesca: se il pescatore è stato paziente, le cose arrivano».
Infatti continua a lavorare.
«E ricevo proposte incredibili. Pensi che ho sempre voluto fare il commissario, l’ho chiesto per anni e adesso forse lo farò. Un altro desiderio era interpretare una che non parla e con Campiotti ho recitato una donna che ha un inizio di malattia e si esprime solo fisicamente. Tempo fa ho anche scoperto che so far ridere, non ci credevo e invece per cinque anni ho fatto Achille Campanile e ho avuto successo. Tutte sorprese della tarda età. Da giovane, nel mio sogno c’erano Fedra, Medea, non certo far ridere».
Tornando al pescatore: la pesca personale com’è andata?
«Direi bene. Ci sono pescatori ambiziosi, che vogliono pesche voluminose, invece io puntavo alla ricerca, alla curiosità, e sono stata contenta perché ho affermato una mia diversità».
Ma dal punto di vista della vita privata?
Sono pentita della mia struttura da dongiovanna: con il tempo, un marito serve. Diventa un compagno, una persona di fiducia
«Io ho deciso di vivere come figlia, non ho mai pensato di avere un’altra famiglia. Questo come donna mi ha reso più libera di impiegare tempo e tenacia per ciò che volevo fare. Mi stava a cuore l’amore inteso come conquista, il piacere di piacere. Come con il pubblico: piacevo agli spettatori, conquistavo gli uomini».