Vanity Fair (Italy)

MUSICA Emanuele Bianco si fa strada nel pop

Vita difficile, adolescenz­a turbolenta. Ma oggi Emanuele Bianco si fa strada nel pop. Con un mentore speciale (vedi alla voce: Fabrizio Moro)

- di FERDINANDO COTUGNO

Il pubblico di Fabrizio Moro ha visto una primizia assoluta. I suoi concerti di ottobre nei palasport di Roma e Milano sono stati aperti dalla sua nuova scoperta. Si chiama Emanuele Bianco, romano, 26 anni, voce calda e consapevol­e, una manciata di singoli (Tu sei, Cara Sofia) intensi ed efficaci, che piaceranno alle radio. In passato Moro è stato anche mentore di Ultimo, quindi del suo orecchio c’è da fidarsi, almeno se vi piace il genere.

Parto da un verso: «Vivo con gli occhi della fame dal ’93».

«Un riassunto della mia vita. Non sono nato col piatto pronto, ma è la stessa fame di tutti i ragazzi della mia generazion­e: nessuno di noi ce l’ha mai avuto. Anche Marracash lo dice: scrivere come se non si avesse mai avuto successo».

Il primo accenno di successo è stato aprire i concerti di Moro.

«Per me è un fratello più grande, mi trasmette una tale empatia che a volte mi verrebbe da chiedergli: sei sicuro che non ci siamo conosciuti in un’altra vita? E dopo il live ero sotto al palco col suo popolo. Ci sono dei versi di Fabri che mi tatuerei».

Me ne dica uno.

«“Ma cosa rende umani se non un limite?”. Stupendo, no? Io sono cresciuto col rap, idolatrand­o Eminem, ma la mia scuola è baglionian­a. Le sue canzoni sono film, e infatti ci hanno fatto un film, su Questo piccolo grande amore. Ma, come si dice a Roma, ne devo mangiare di panini per arrivarci».

E il tatuaggio che ha sul viso?

«“Keep it secret”. Mantieni il segreto. Non è un richiamo all’omertà, sia chiaro, ma essere una persona di fiducia per gli altri è uno dei miei valori. La mia ragazza non ci credeva, le ho mandato la foto e mi ha risposto: “Ma dai, è fatto a penna, vero?”».

Adolescenz­a complicata, mi pare di intuire.

«Turbolenta. Ho dato da fare a mamma e papà, ma rifarei tutto, la consapevol­ezza nasce dagli errori. E le cose che dico sono pensate, non è che mi sveglio una mattina e vado su Tumblr a cercarle».

Da cosa è nutrita questa consapevol­ezza?

«Ho avuto un formatore, si chiama Daniele Di Benedetti, è un mental coach per la crescita personale. Ho fatto l’ultimo corso due giorni fa».

Tema?

«Partire per ricomincia­re. Sembra già il titolo di una canzone, ma alla fine è psicologia applicata, come la psicanalis­i, il punto è imparare come funziona il cervello».

Bianco è un nome d’arte. Perché?

«È un colore che amo, ho la macchina bianca, lo studio bianco, il mio migliore amico mi chiama Bianco. E mi ispira profilo basso, umiltà, come i miei idoli. Tiziano Ferro che all’Olimpico apre confessand­o di commuovers­i pensando ai concerti davanti a trecento persone, Ed Sheeran che sembra uno che potresti incontrare in un pub. Voglio essere così, uno del popolo, come loro».

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