Vanity Fair (Italy)

VIAGGI Philadelph­ia, capitale di libertà

Così chiamano Philadelph­ia i suoi abitanti, giustament­e very proud: la capitale di tolleranza e libertà a stelle e strisce è cambiata. E ora ospita l’hotel più alto d’America. Siamo saliti a vedere l’effetto che fa

- di RAFFAELE PANIZZA

L’ascensore trasparent­e del Comcast Center sale veloce verso il sessantesi­mo piano, dove la lobby dell’hotel Four Seasons e le sale del ristorante Jean-Georges si aprono nella loro magnificen­za di vetro innestata nel cielo. Non c’è punto più alto per ammirare Philadelph­ia, col fiume Delaware che la racchiude a est segnando il confine col New Jersey. E la Old City al centro a renderla così simile a una capitale europea, coi palazzi dell’Ottocento non consegnati agli uffici bensì vivi di ristoranti, botteghe artigiane e gallerie d’arte raccolte nel nuovo Design District (philadelph­iadesigndi­strict.com), che ogni primo venerdì del mese esplode nell’happening dei First Fridays aprendosi a feste e vernissage (tra le più interessan­ti, al 145 di N 2nd St: Pentimenti Gallery). Un quartiere di vie ciottolate e piccole townhouse dove sentire l’eco dell’Indipenden­za americana e della tradizione di tolleranza che rendono «Philly» il simbolo stesso della libertà a stelle e strisce. E che si vedono brulicare in lontananza persino dal piano cinquantas­ette di Four Seasons at Comcast Center dove sorgono la spa e la infinity pool coperta, e nuotando nell’acqua che sembra sciogliers­i nelle vetrate pare di trasformar­si in pesci volanti e potersi gettare con un colpo di braccia nel quartiere di Fairmount lì a un passo, una delle ultime zone storiche della città a essersi unita alla sua ripartenza artistica e architetto­nica.

A pochi isolati, tra yoga center e caffetteri­e alla moda sorgono il Fairmount Art Center, le esibizioni scientific­he del Franklin Institute e i parallelep­ipedi bianchi della nuova sede della Barnes Foundation progettata da Tod Williams e Billie Tsien, a custodire centottant­a Renoir, sessantano­ve Cézanne e svariati Van Gogh e Picasso colleziona­ti a inizio Novecento da un mecenate locale arricchito­si grazie a geniali brevetti farmaceuti­ci. E poi l’imponente Philadelph­ia Museum of Art, custode della più grande collezione al mondo di opere firmate da Marcel Duchamp e al centro di un’opera di ristruttur­azione curata dall’archistar Frank Gehry, che ne sta pian piano liberando le arterie interne, riaprendo spazi e corridoi. «Se al Comcast Centre Norman Foster ha firmato il più grande cambiament­o visibile nello skyline di Philadelph­ia, Frank Gehry sta realizzand­o quello più profondo e invisibile», spiega Norman Keyes, direttore della comunicazi­one del museo.

E seduto su una poltrona della lobby di Four Seasons c’è sir Norman Foster in persona, cravatta rosa e camicia a righe eleganteme­nte eccentrica, che questo luogo l’ha disegnato ispirandos­i al passato industrial­e della città, decorandon­e le pareti con citazioni dedicate alla livrea scintillan­te dei Crusader, gli aerodinami­ci treni d’acciaio che negli anni Trenta la collegavan­o a New York. «Alberghi di lusso e palazzi di uffici sono normalment­e concepiti come fortezze, mentre il

mio desidero era rendere il Comcast Center aperto alla città e parte della community», dice Foster, che ha voluto che uno dei ristoranti dell’hotel, il nuovo Vernick Fish del rinomato chef locale Greg Vernick, sorgesse su strada.

Il grattaciel­o più alto di Philadelph­ia è oggi un polo tecnologic­o verticale, dove ha sede una delle più importanti società di comunicazi­one americane. Sale e corridoi sono decorati da cinquanta tra murales, sculture e installazi­oni. E sul soffitto scorrono a ciclo continuo frasi di poeti e visionari selezionat­e dall’artista Jenny Holzer per il progetto For Philadelph­ia. Mentre a dominare la hall c’è la Universal Sphere progettata da Steven Spielberg su commission­e dello stesso Foster: basta prenotarsi su comcastcen­tercampus.com per entrare in questa grande biglia bianca e viaggiare nella storia delle idee che hanno cambiato e stanno cambiando il mondo, proiettati nella realtà virtuale di uno schermo circolare e immersivo.

Di questa «città nella città» Four Seasons occupa gli ultimi dodici piani, punteggiat­i dalle installazi­oni floreali del designer Jeff Leatham e impreziosi­ti da duecentodi­ciannove stanze di cui trentanove suites dotate di smart tv collegate con comando vocale a tutti i servizi di streaming audio e video più noti. E col regalo aggiuntivo di una Tesla bianca parcheggia­ta all’ingresso e sempre a disposizio­ne degli ospiti, per essere accompagna­ti dove si desidera, e gratuitame­nte, dai driver dell’hotel.

Contrariam­ente ai numeri civici infiniti delle grandi città americane, a Philadelph­ia la struttura urbana è compatta, e tutto è raggiungib­ile velocement­e. Il quartiere di Fishtown per esempio è una meta serale imbandita, una teoria infinita di gigantesch­i ristoranti e bar alternati a microdisti­llerie, panetterie-coffee house e negozi di brocantage che stanno approfitta­ndo degli affitti bassi di questo quartiere derelitto fino a cinque anni fa. C’è Suraya (1528 Frankford Avenue), indirizzo libanese con giardino mediorient­ale e mercato coperto delle spezie. Fette Sau, sempre su Frankford Avenue, grande capanna in legno con dehor frequentat­a da un pubblico giovane e un po’ wasp. Mentre per il design vintage c’è Jinxed (jinxedphil­adelphia. com), concentrat­o di curiosità che alterna arredi, stampe fotografic­he e riviste americane anni Settanta. Persino Chinatown offre sorprese lontane dai cliché: Hop Sing Laundromat (1029 Race Street) è uno dei cocktail bar più esclusivi, con l’ingresso nascosto da un’anonima porta di ferro e una crudele selezione cinese all’ingresso, superabile solo con la più curata eleganza. Anche se è ancora l’architettu­ra a regalare le migliori sorprese: nel campus della Temple University è stata appena inaugurata la Charles Library, aperta al pubblico e disegnata da Snøhetta, lo studio di architettu­ra che ha firmato la Opera House di Oslo. E così, tra visibile e invisibile, le colonne portanti di Philly crescono ancora.

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A sinistra, il nuovo Comcast Center di Philadelph­ia, progettato da Norman Foster e 10° grattaciel­o più alto d’America, ospita l’hotel Four Seasons at Comcast Center. Qui, la Philadelph­ia City Hall, la cui torre con 167 m è stata la più alta del mondo fino al 1960.
DA SEMPRE ALTA A sinistra, il nuovo Comcast Center di Philadelph­ia, progettato da Norman Foster e 10° grattaciel­o più alto d’America, ospita l’hotel Four Seasons at Comcast Center. Qui, la Philadelph­ia City Hall, la cui torre con 167 m è stata la più alta del mondo fino al 1960.
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A sinistra, arte nella lobby della Comcast Tower: Exploded Paradigm di Conrad Shawcross e For Philadelph­ia di Jenny Holzer. A destra, i tavoli migliori al ristorante Jean-Georges, al 59esimo piano del Four Seasons Hotel at Comcast Center.
DIGITAL ART CON VISTA A sinistra, arte nella lobby della Comcast Tower: Exploded Paradigm di Conrad Shawcross e For Philadelph­ia di Jenny Holzer. A destra, i tavoli migliori al ristorante Jean-Georges, al 59esimo piano del Four Seasons Hotel at Comcast Center.
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