Multi patch
Le amiamo perché sono come noi: fanno tutto e in poco tempo. Per occhi, mento e fronte, in hydrogel o illuminate da centinaia di led, le maschere danno risultati sempre più simili alla medicina estetica
Anche se sono passati più di cent’anni dagli archetipi delle maschere viso, le prime utilizzatrici restano sempre loro: le celebrity. Se un tempo erano le attrici d’epoca vittoriana a indossarle in privato, ora sono le star di Hollywood a sfoggiarle sui social. C’è chi le mette mentre guida, come Kate Hudson. O chi, come Kim Kardashian West e Ashley Graham, sceglie il «multimasking», con patch diversi su tutto il viso. Chi ancora le indossa con la figlia, come Cindy Crawford e Kaia Gerber immortalate in una foto che è diventata iconica su Instagram. Ma tutte le usano per prepararsi a un red carpet, magari con gli eye patch applicati mentre il make-up artist trucca loro gli occhi.
PICCOLA STORIA FELICE
Il successo delle maschere viso in tessuto è presto spiegato: si tengono in posa dai 5 ai 20 minuti e fanno tutto loro, mentre noi possiamo dedicarci ad altro. La prima sheet mask è nata nel 1875 a Brooklyn, New York, dalla fantasia di Madame Helen Rowley. Si chiamava Toilet Mask, era in caucciù, e veniva tenuta sul viso di notte con delle fibbie per far penetrare gli unguenti applicati.
Anche i più piccoli patch hanno un’origine antica: avevano una forma triangolare e venivano applicati dove c’era bisogno, sulle rughe agli angoli delle labbra, o al centro delle sopracciglia. Si chiamavano Frownies, sono stati lanciati nel 1889 e sono tuttora in commercio. Oggi maschere e patch sono high-tech, leggeri, monouso e iper performanti.
A OGNUNO LA SUA
La pelle del viso ha una struttura diversa in ogni zona, e rivela anche i segni del tempo in modo diverso. Per esempio il contorno occhi, sottile appena 0,3 mm, vicinissimo alle fasce muscolari e con poche ghiandole sebacee e grasso, è più soggetto ad assottigliamento, disidratazione, increspature e rughe rispetto alla pelle del mento, ricca invece di tessuti molli che tendono a perdere tono e volume. Per un’azione davvero efficace, una sola maschera non è abbastanza. Ecco perché esistono i patch da applicare contemporaneamente imbevuti di formule specifiche: liftanti, opacizzanti, idratanti, rimpolpanti, antiborse od occhiaie.
Oltre agli attivi, a renderli altamente performanti sono i nuovi materiali. Tra i più evoluti l’hydrogel, una bio-matrice acquosa capace di veicolare una quantità elevata di prodotto. «Le maschere in hydrogel sono in grado di contenere più strati di principi attivi e di rilasciarli a contatto con la pelle. Ciò consente di alzare la concentrazione di attivi rispetto a quelli di un trattamento normale, portando al massimo l’efficacia», spiega Alessandra Forese, responsabile formazione Lancôme.
LE SUPERSONICHE
Il futuro delle sheet mask? Trasformarsi da cosmetici a sedute di medicina estetica, unendo tecnologia moderna e comodità d’uso. È già realtà con Led-Xpert di Germaine de Capuccini, da indossare come una maschera: «Contiene oltre micro 600 micro led, defocalizzati a varie lunghezze d’onda, che riattivano la produzione di energia nei tessuti e la comunicazione tra le cellule cutanee», racconta Valdimara Zecchinel, direttore generale del brand in Italia. Con quattro diversi colori, agisce su imperfezioni, macchie, rossori e rughe (€ 90, minimo 3 sedute da 15 minuti, una volta a settimana, germaine-de-capuccini.com). Insomma, in istituto o a casa, bastano una maschera e un selfie per migliorare autoironia e autostima.
La prima maschera è nata a Brooklyn ed era in caucciù. Le ultime sono in hydrogel, oppure accendono 600 micro led colorati