Abete vero vs. abete finto
Ciao, sono l’abete vero. Quest’anno hanno lasciato quello di plastica in cantina e preferito me. Non succede sempre: ogni volta scelgono me o lui con motivazioni contraddittorie. Un saluto all’amico rimasto al buio e all’umido: sei un tipo paziente, vedrai che l’anno prossimo toccherà a te. Intanto tu rimani integro, io chissà.
Ormai ho capito che scelgono tra noi due del tutto arbitrariamente: un anno dicono che sei più ecologico tu e un anno io, a seconda dell’ultima teoria che hanno sentito dire, dell’umore e del tempo che hanno, ma non è vero che lo fanno per quello, è solo una scusa per sentirsi a posto con la coscienza.
Sono più ecologico io ovviamente, ma solo se mi lasciano le radici e mi curano bene, se no siamo fottuti.
Quest’anno, miracolosamente, mi hanno preso con le radici. Potrebbe essere lo stesso l’inizio dell’agonia, perché la mia sopravvivenza dipenderà da quanto mi tengono al caldo senza inumidirmi e da come mi trattano prima di restituirmi al vivaio, se avranno la bontà di farlo. Un anno mi hanno preso con le radici, poi abbandonato tre mesi sul balcone e ovviamente ciao.
Fino a un paio d’anni fa se erano in buona sceglievano quasi sempre me perché profumo, ma col senso di colpa di essere poco ecologici. Poi uscì l’intervista a un botanico di Philadelphia che diceva che voi finti causate emissioni di anidride carbonica sia quando vi producono che quando vi trasportano, spesso dalla Cina, senza tener conto del fatto che tu amico mio sei stato comprato più di dieci anni fa al grande magazzino dietro casa. Meglio per me. O peggio. È tutta da vedere.
Confesso che l’emozione dell’esperienza c’è. Si può campare tutta la vita nel bosco finché non muori per un fulmine o qualche altro accidente e con la pioggia, il sole, la neve, il vento, gli scoiattoli e le civette, i codibugnoli e le cincie dal ciuffo non ci si annoia mai.
Ma l’esperienza di vivere qualche settimana con gli umani, essere agghindato con decorazioni e lucine, sentirli parlare, litigare, ridere e mangiare è molto divertente. Sono pazzi ma simpatici. Completamente irrazionali e fuori di testa: ma fanno allegria.
Pochi di noi escono da questa coabitazione vivi, va detto. Perché anche quelli bravi, pochissimi, che ci comprano con le radici e poi ci ripiantano o riportano al vivaio, spesso dimenticano di inumidirci e farci riabituare gradualmente alla temperatura. Dai sottozero ai ventun gradi − quando va bene − del salotto, è un trauma, ma anche dai ventuno ai sottozero quando ci riportano indietro. L’ideale sarebbe farci riabituare al freddo tenendoci per un po’ a dieci gradi in un ambiente illuminato, ma figurati se quelli ne hanno il tempo e la voglia. E con quel che li sento raccontare non mi stupisco, poveracci.
Fanno una vita d’inferno: arrivano al Natale stremati e poi devono pensare a partire per le vacanze, a chi lasciare il gatto, a chi la cura del nonno. Dopo il pranzo del 25 dicembre rimangono ore abbrutiti sul divano e passano il tempo a becchettare sui loro telefoni come picchi impazziti.
Deve essere un incubo essere umani. Tranne per quella cosa fantastica a noi sconosciuta che chiamano sogni.
DARIA BIGNARDI, giornalista e scrittrice. Il suo ultimo libro è (Mondadori, Storia della mia ansia 2018). Dal 16 ottobre, su Nove in prima serata, conduce il programma LÕassedio.