FINE DEL REGNO?
Prima la Brexit, ora la fuga dei duchi di Sussex. Due rifiuti che sono il segno di una crisi profonda. Anche della monarchia
Quando la Gran Bretagna entrò nell’Unione europea, il primo gennaio 1973, studiavo per diventare solicitor, cioè avvocato/notaio a Londra. Ero sul punto di chiedere la cittadinanza britannica perché era un requisito per esercitare la professione, che poi fu abolito dall’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea. Quando la Gran Bretagna rifiutò di abbandonare la sterlina a favore dell’euro, mi fu chiaro che in futuro sarebbe uscita dalla Comunità europea. Era il 1999: il mio studio legale a Londra aveva una trentina di impiegati – un notevole successo per una straniera, quale continuavo a essere di fatto – ed ero felicemente integrata a Londra e in Inghilterra. Quel rifiuto mi angosciò: la Gran Bretagna non si sentiva europea. Se ne fosse uscita, avrei potuto continuare la professione soltanto da cittadina britannica. In poche settimane ottenni la naturalizzazione britannica, ma non volli il passaporto britannico. L’ho richiesto soltanto una settimana fa, con riluttanza: mi piace, il mio passaporto italiano. I cittadini italiani in Gran Bretagna hanno paura per il futuro. Potrebbero essere costretti ad abbandonare la loro professione, o ricevere dall’oggi al domani l’ordine di lasciare il Paese; è
improbabile ma possibile. È giusto che altri continenti, come lA’ sia e lA’ frica, abbiano il diritto di emergere come leader mondiali. L’Europa intera è in decadenza, come la maggior parte delle democrazie del mondo. Mi angosciano la crescita del velenoso populismo e i futili diverbi all’interno della Comunità europea, in cui ho creduto e continuo a credere. Vivo di speranze – non saprei come altro vivere. Eppure mi è difficile credere che la rottura con l’Europa sarà l’inizio di una vita migliore per i britannici. Le ultime elezioni parlamentari indicano che la Gran Bretagna non è più un «regno unito». Le sue quattro nazioni potrebbero separarsi. L’Irlanda ha una sua storia dolorosa e se anglo-irlandesi hanno un pizzico di razionalità, come credo, creeranno uno Stato unitario. La Scozia vuole essere indipendente. Anche il Galles, da sempre faticosamente parte dello Uk, ha votato per uscire dalla comunità. Dunque il regno non è più così unito.
Mi chiedo se tra vent’anni sarà ancora un regno e non una repubblica. Non mi dispiacerebbe. Credo nella democrazia e nella libertà di ciascun essere umano di fare le proprie scelte di vita. È iniquo costringere una persona a seguire il mestiere dei genitori o della propria casta. La servitù della gleba fu abolita in Russia nel 1861, 50 anni dopo l’abolizione in Europa. Nessuno è superiore agli altri per nascita. Quando
vedo alla televisione un individuo, in genere un capo di Stato, che si inchina davanti alla regina, mi dispiaccio per Elisabetta, donna determinata e saggia, che a novant’anni passati deve ancora lavorare. Le è stato negato il diritto alla pensione. È un paradosso, ma un paradosso significativo.
La vita post-Brexit non mi fa paura. L’Europa continentale si sta sfaldando. Se quello che la tiene unita è l’odio per gli altri e il populismo, preferisco la mia Inghilterra, con le sue contraddizioni. E sono grata a Elisabetta per esserci ancora. E questo è il secondo paradosso.
La stoltezza dei britannici potrebbe essere la salvezza degli europei. Princìpi come l’uguaglianza, il rispetto delle diversità e la libertà di movimento aiuteranno la generazione dei miei quattro nipoti a ricreare l’Europa unita. A proposito dei miei nipoti: alla nascita di ciascuno di loro suggerii ai miei figli, che sono anche cittadini italiani, l’iscrizione nell’albo dei cittadini italiani nati all’estero. Quattro volte ricevetti la stessa risposta: «Mamma, meglio di no, la loro madre è inglese». L’anno scorso i nipoti – tutti studenti liceali – chiesero ai rispettivi genitori di diventare cittadini italiani. Non ho chiesto il perché, e non ho offerto di aiutarli nel compilare e presentare la domanda di cittadinanza italiana. Ma ne sono felice.