Vanity Fair (Italy)

L’INVIOLABIL­E

Eppure esiste: Massimilia­na Landini Aleotti, la donna più ricca d’Italia

- Di GIANCARLO DOTTO

Tutti respinti al mittente. Cordialmen­te, ma fermamente. Si nega. Non ama parlare, né che si parli di sé. In compenso, molta charity (che siano i bambini abusati o le case popolari di Firenze da ripristina­re), purché vietata ai flash. Non si sa delle sue origini, della sua infanzia, della sua adolescenz­a, dei suoi amori o rancori. Non si sa se prega come Ildegarda o se canta come Mina, se ha mai fumato uno spinello o se è mai scappata di casa con il sosia di Yves Montand. Se le piace il roast beef o la bistecca di manzo. Si sa, ma chissà se è vero, che imparò il tedesco per tradurlo al marito, uomo clamoroso che a tredici anni vendeva caramelle fuori dai night, quando, nel ’92, acquistò la Berlin-Chemie, azienda chimico-farmaceuti­ca sopravviss­uta allo schianto della Germania comunista.

Una mosca bianca nell’epoca dell’idolatria della comunicazi­one. Dell’apparire come status symbol, del non sei nessuno se non sei in Rete. Una per tutte la più giovane miliardari­a del pianeta, Kylie Jenner, che impazza scientific­amente su Instagram con i suoi modelli di make up. Quando il «non c’è niente dietro la superficie» di Andy Warhol sembra soppiantar­e il «le sole cose che contano sono quelle che non possono essere dette» di Jacques Lacan. Il che spieghereb­be, tra l’altro, perché in tanti si accaniscon­o sulle tracce degli invisibili. Gli unici meritevoli di essere raccontati in quanto impossibil­i da raccontare. I buchi neri delle mappe umane. Chi li ha visti? Non sempre un format televisivo di successo. Poveracci e disgraziat­i che spariscono ce ne sono a bizzeffe e finiscono nella spazzatura degli oggetti smarriti, carne da cannone mediatico nella migliore delle ipotesi. Una o due puntate, se ti va di lusso. Pochi sono quelli che spariscono per scelta. Per lo più ricchi e celebri. Non potendo comprare al mercato il mantello di Harry Potter, meno che mai l’agognatiss­imo «Quantum Stealth» (materiale biotecnolo­gico, sottile come un foglio di carta, che devia la luce e oscura i corpi, nascondend­oli alla vista), coltivano in ogni modo il piacere dell’invisibili­tà, diventando in qualche caso animali mitologici. Di cui si parla per sentito e orecchiato dire. La seduzione del fantasma. Leggende forse viventi. Diafani, pallidi, finalmente intangibil­i. Tali e quali l’«animula vagula blandula» di Adriano. Anime sottratte ai corpi. L’idea che l’invisibili­tà, oltre a essere dignitosa, garantisca un chissà quale potere, se non proprio l’immortalit­à. Che nasconders­i alla vista del per niente amabile prossimo tuo equivalga a sottrarsi alla turpe gogna dello sguardo che ti pietrifica, della parola che comunque ti diffama.

Che sia, tutto questo darsi alla macchia, un abile esorcismo della decadenza? Il caso di Mina, forse, donna peraltro voluttuosa­mente pigra, una dea dell’accidia, flagellata da troppo talento e pazienza, ladra felina del proprio tempo, che un giorno si dichiara libera di sottrarsi almeno agli schiamazzi isterici di chi il talento lo perseguita. Diventare, nel silenzio, un enigma che rilancia possibili domande e improbabil­i risposte. Giocando un po’ e confidando nella sua clemenza, qualora la curiosità vinca sulla riluttanza e ceda alla tentazione di sporgersi su queste pagine, ci si può spingere a dire che Massimilia­na Landini vedova Aleotti è in fondo la Greta Garbo dei nostri giorni, metti i laboratori chimici di «Big Pharma» in luogo degli studios di Hollywood. Una, la Divina, che a 36 anni si tumula viva nel suo appartamen­to di Manhattan, magnifico spettro affacciato sul nulla, tra i quadri dell’amato Renoir e sempre più una cosa sola con la sua sedia intagliata Luigi XV. «Una sospension­e temporanea», aveva annunciato. Durerà 49 anni. Fino alla Pasqua del 1990, quando sparire fu un po’ anche morire. La differenza, non da poco, è che Massimilia­na tace, si nasconde dal mondo, ma non scappa dal suo destino.

No, la reticenza di Massimilia­na non ha nulla di patologico. Non la si direbbe proprio una misantropa un tantino paranoide, come quell’orso di Salinger, che però aveva l’alibi di un lager nazista alle spalle e un’innata diffidenza verso il genere umano. Come Louis-Ferdinand Céline, altro riluttante, finito a chiudersi anche lui nel suo eremo in cima a una collinetta, in compagnia della sua Lucette, dei suoi cani, dei suoi gatti, del suo pappagallo e del suo fucile pronto a mirare il culo di eventuali molestator­i. Uscito di casa non più di venti volte in dieci anni. Per non parlare di Thomas Pynchon, altro celebre ossesso da manuale dell’auto-reclusione. Foto che si contano sulle dita di una mano, degli anni scolastici e del servizio in marina militare. E stravaganz­e assortite. Come quando accetta di doppiare se stesso in alcuni episodi dei Simpson. Uomini e sottomarin­i. Nascosti sotto il pelo dell’acqua. Dentro tane impenetrab­ili. Marcel Proust non usciva mai dal suo bunker parigino, insonorizz­ato con pareti di sughero. Si proteggono dalla bullaggine del mondo. Dagli agguati e dalle forbici del prossimo. Come Shrek, la pecora che si nascose sei anni nelle grotte della Nuova Zelanda per non essere tosata e diventò una gigantesca, irriconosc­ibile, spaventosa palla di lana. Lo stesso occhio spaventato, Shrek, di uomini che, pur di non essere tosati, scelsero anche loro di segregarsi in grotte costruite ad arte. Friedrich Nietzsche, Syd Barrett, Lucio Battisti, per citarne alcuni, che disse di no anche a Enzo Biagi. O Totò Riina, ma questa è un’altra storia. Diversa, come quella di Howard Hughes, il miliardari­o ossessivo e compulsivo, la cui follia restò fino in fondo sospesa tra la smania della visibilità assoluta e quella di un’invisibili­tà al limite della ferocia.

Resta il mistero. Di cosa spinga uomini e donne improvvisa­mente ad ammutolire. A fare della propria vita una fortezza con un segreto da custodire. Sappiamo che hanno costruito imperi, scritto capolavori, cantato, suonato e profetizza­to, ma nulla sappiamo dell’immane gemito che c’è dietro la scelta di cancellars­i agli occhi dei contempora­nei. Questo mettere in atto un sequestro di persona, in cui sequestrat­o e sequestrat­ore sono la stessa persona, finendo i propri giorni a giocare a mosca cieca con la propria ombra, non sentendo altro rumore che quello dei propri passi.

A meno che, a dirla tutta, sparire non sia un modo geniale di farsi amare senza subire le conseguenz­e dell’amore. Le ansie, le attese, le domande, le risposte mancate, le delusioni, i tradimenti, i lutti. Sapendo che ogni amore che si mostra è un amore destinato a finire. E che così, grazie alla mossa del cavallo, dileguarsi dalla scacchiera sarà più facile e anche più elegante darsi un giorno l’addio. Avendo appreso che sta tutto qui, abituarsi a dimenticar­e e a essere dimenticat­i. ➺ Tempo di lettura: dipende

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