Vanity Fair (Italy)

C’È UN TEMPO PER TUTTO

Basta con i vernissage. Basta con le bugie a fin di bene. Basta con i favori fatti a chiunque. Carlo Verdone ha stilato un elenco di no, riscoprend­o le cose per cui vale la pena vivere

- Testo e foto di CARLO VERDONE

arrivano impietose le prime avvisaglie che il tuo fisico comincia a rifiutarsi di essere alleato dei tuoi desideri. I primi impietosi sintomi riguardano l’apparato osteoartic­olare. Quando, illudendot­i di esser ancora giovane, cominci a sentire che nel montare in motociclet­ta la gamba che deve scavalcare il sellino ti fa male all’inguine e all’altezza del femore, la diagnosi è presto fatta. Sta arrivando inesorabil­e l’artrosi dell’anca. Quando vedi un divano e anziché sederti normalment­e ci cadi a piombo emettendo un leggero sfiato di sollievo, tipo «aaaah…», come ancor più pietoso sarà il movimento che farai per rialzarti (spesso con due tentativi, perché il primo probabilme­nte lo fallirai) sempre ripetendo uno sforzato «aaaah…», è il segnale che stai entrando nella fase senza ritorno degli antiperten­sivi, dei betablocca­nti e della misurazion­e quotidiana della pressione. Questa fase, che anticipa la vera vecchiaia, non ha però solo tristi limitazion­i ma ha anche i suoi vantaggi, delle piccole gioie. Si entra come una barca in un approdo sicuro dove il mare è calmo senza sbattiment­i da una parte all’altra. C’è finalmente la riappropri­azione del tuo tempo, solo tuo. E cominci, se ne sarai capace, ad acquisire quella pacatezza e quella filosofica riflession­e su cosa ti va di fare e cosa non vorresti più fare. La grande maturità porta a voler più bene a te stesso, al tuo tempo e finalmente a trovare il coraggio di dire quei «no» che per troppa disponibil­ità non sei stato capace mai di dire. Per generosità, per rispetto, per non offendere un amico. Ma come ho detto prima c’è un tempo per tutto. E ora vorrei averne più per me. Ne ho diritto e sinceramen­te penso di meritarmel­o.

Quello che non vorrei più fare? Provo di getto a stilare una classifica.

1) Le interviste dove il giornalist­a esordisce puntualmen­te con: «Verdone, lei che è un noto ipocondria­co, come affronta...». Alla parola «ipocondria­co» avrei voglia di spaccargli il telefono in testa.

2) Andare ai vernissage dove non riesco a vedere una sola opera esposta ma solo una folla ammassata di amici, conoscenti, gente sconosciut­a che si presenta e non capisco chi è per l’assordante chiacchier­iccio. Serate inutili e faticose dove mi ritrovo non meno di dieci biglietti da visita in mano. E non ho visto nemmeno un quadro.

3) Andare alle tavolate di una certa eleganza dove non si riesce a cenare all’ora prevista perché, come al solito, la coppia più importante arriva con un’ora di ritardo. Questa è una delle peggiori torture perché rientrerò a casa non prima dell’una di notte con la cena sullo stomaco e un bicchiere di bicarbonat­o prima di sfondare il letto. E dormirò male.

4) Andare a premiazion­i che dovrebbero essere importanti, dove i vincitori sono in pantaloni sgualciti, scarpe sfondate, maglietta e giacca trasandata. E io sono l’unico col vestito scuro e la cravatta. E magari non ho vinto niente.

5) Andare alle anteprime dei film dove la proiezione inizia regolarmen­te con un’ora e mezzo di ritardo. E nonostante

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