COSÌ COME SONO
Una scrittrice analizza il processo che porta a riconoscersi. Anche attraverso il make-up
utto è cominciato perché sei nata in una città di diffusa ed eterna bellezza. Forse saresti giunta alle stesse conclusioni anche in campagna, in montagna o sul mare, ma non ne sei certa. Una bellezza eterna, diffusa e costruita, blocco di marmo su blocco di marmo, dagli esseri umani. Una eterna bellezza che di spontaneo non ha niente. Il Colosseo non è sbocciato come una rosa, il Pantheon non rinverdisce a primavera come gli alberi lungo il Tevere, no. Eppure, al pari di certi paesaggi, quelle pietre sono lì prima di te e ci saranno dopo di te. È un pensiero che dovrebbe renderti triste, invece ogni volta ti commuovi. Intorno ai quarant’anni hai realizzato che l’autenticità non ha a che vedere con la natura. Per essere autentici ci vogliono intenzioni, immaginazione e
Tmolta rappresentazione. Che la domanda giusta non era: «Chi sono», ma: «Come sono?». Con umiltà hai copiato la risposta della bellezza eterna e diffusa. Provare a portare i segni del tempo impedendo, contemporaneamente, che i segni del tempo ti impediscano di somigliarti. Impediscano che ti riconosca allo specchio, nelle vetrine dei negozi, nei finestrini delle auto e impediscano agli altri di riconoscerti. Gli altri che ti amano, non gli estranei. Così, il tuo lavoro, l’unico vero lavoro fatto un giorno dopo l’altro senza mai un lamento e senza un cenno di noia è stato quello di somigliarti. Un lavoro lungo, hai dovuto immaginare come volevi essere, hai dovuto perseverare nell’intenzione di diventarlo e, alla fine, hai dovuto rappresentarti. Così quando qualcuno ti dice: «Come stai bene, non sei cambiata» e ti chiede: «Ma ti trucchi?», allunghi una mano nella borsa fingendo di cercare sigarette e accendino e stringi prima la trousse, poi il profumo e sorridi, senza rispondere, inclinando la testa come la Venere di Botticelli. Ma senza boccoli.