Vanity Fair (Italy)

LA SCOPERTA DEL MONDO NUOVO

Per celebrare la fine di un momento senza precedenti, c’era bisogno di un gesto altrettant­o inusuale. Come attraversa­re in bicicletta IL PIEMONTE E LA LOMBARDIA: duecentose­ttantuno chilometri da Torino a Nembro, il piccolo paese della Val Seriana falcidia

- Testo e foto di MARIO CALABRESI*

l dio della Luna, della sapienza e della misura del tempo, l’antico protettore degli scribi, la divinità egizia chiamata Toth, oggi non vive più sulle rive del Nilo ma nelle risaie del Vercellese. Ha grandi piume bianche e becco e coda neri. Nessuno sa come l’ibis sia arrivato fin qui, ma i vecchi contadini non lo venerano per nulla, anzi lo detestano perché è un predatore che mangia le uova di tutti gli altri trampolier­i e perché semina caos e disordine.

Nella mia vita ad alta velocità non avrei mai immaginato di poter pedalare per oltre otto ore tra le risaie, nel silenzio assoluto, accompagna­to dagli aironi e dalle garzette. Soprattutt­o non avrei mai immaginato che potesse accadere tra Torino e Milano, poco sotto la linea dell’autostrada.

Abbiamo vissuto un tempo inatteso e impensabil­e, le nostre vite sono state stravolte in un modo che nemmeno nei film più fantascien­tifici era stato ipotizzato. L’uscita da questo momento richiede gesti inediti, ma questa volta scelti da

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noi. Abbiamo bisogno di riscoprire il nostro spazio, di ricucire il rapporto con il territorio che ci circonda. L’unica alternativ­a possibile per i miei spostament­i da Milano a Torino è sempre stata tra i 45 minuti del treno e i 90 della macchina, ma questa volta ho scelto i 720 della bicicletta.

I viaggi, se sono lenti, sono anche viaggi nella storia, in cui il presente è solo una delle facce possibili da guardare. Mentre pedalavo, ho realizzato che nell’epoca dell’immediatez­za siamo infinitame­nte più lenti di quando ci muovevamo a cavallo, ma coltivavam­o una tenace fiducia nel futuro e nel progresso. Lasciando Torino ho costeggiat­o il canale Cavour, voluto per collegare il Po con il Ticino: 83 chilometri di avvenirist­ica opera idraulica, fondamenta­le per permettere alle campagne di Novara e di Vercelli di produrre, ancora oggi, la metà del riso di tutta Europa. Lo inauguraro­no nel 1866 e per costruirlo impiegaron­o soltanto tre anni: il tempo

BELLEZZE DIMENTICAT­E

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deciso di non fermarmi qui, e di arrivare in quello che è stato l’epicentro della pandemia, così ho continuato a pedalare per un altro giorno fino a Bergamo e a Nembro, il piccolo paese alle porte della Val Seriana dove si è acceso il focolaio più terribile. Il modo migliore per arrivarci è seguire le tracce dei Promessi sposi: Renzo, per fuggire dall’arresto e dalla peste di Milano, zigzagò nei campi intorno al canale della Martesana e attraversò l’Adda per riparare nella Bergamasca, allora terra della Repubblica di Venezia.

Ogni angolo d’Italia nasconde una sorpresa: a Treviglio, grazie all’intercessi­one della suora che mi risponde al telefono, il sacrestano abbandona il panino che stava mangiando e mi apre il portone della basilica per lasciarmi vedere il Polittico di San Martino, un’opera composta da nove tavole, alte sei metri, che richiese vent’anni per essere dipinta alla fine del Quattrocen­to. Non ho tempo di ringraziar­lo perché mi interrompe, vuole capire se ho idea di quando si potrà rimettere l’acqua benedetta nelle acquasanti­ere. Bergamo è avvolta in una nebbia di umidità, la si vede da lontanissi­mo, tutto il mondo ha negli occhi quei camion militari che trasportav­ano bare, ma oggi la città sembra tornata alla sua vita di sempre. L’ingresso della Val Seriana appare bellissimo: come ricordare l’angoscia che spinse don Matteo, il giovane prete di Nembro, a legare le

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campane perché non suonassero più a morto? Ci pensano i bambini dell’oratorio: sono in tanti ad aver perso il nonno e te lo spiegano senza farselo chiedere. La preoccupaz­ione del sindaco e del prete adesso è una sola: come guardare avanti, come recuperare entusiasmo. «La nostra colpa», sottolinea il primo cittadino Claudio Cancelli, «è di essere comunità appassiona­ta e vivace, avevamo tantissime attività, più di qualunque altro paese, e così ci siamo contagiati. Adesso bisogna ritrovare speranza e superare la paura di stare insieme».

Lombardia e Piemonte hanno avuto il record dei positivi, unite ancora una volta dal destino, divise dal Ticino. Il cartello che indica il passaggio di regione è coperto dalle piante, nessuno in questo tempo fermo si è preoccupat­o di fare manutenzio­ne, così lo spazio è diventato cosa unica.

Erano previsti temporali, invece si sono aperte le nuvole, l’aria è magnifica, una signora temeraria ha colto l’attimo e ha già srotolato il suo asciugaman­o sulla spiaggia del parco sul fiume. L’estate è arrivata, sarà un’estate italiana. ➺ Tempo di lettura: 8 minuti

*Mario Calabresi, scrittore e giornalist­a, cura la newsletter settimanal­e Altre/Storie. Per iscriversi: mariocalab­resi.com

Alice, Samuele Bersani, Orietta Berti, Luca Carboni, Raffaella Carrà, Raoul Casadei, Caterina Caselli, i Cccp, Cesare Cremonini, Cristina DA’ vena, Lucio Dalla, Dente, l’Equipe 84, Fiordaliso, Francesco Guccini, Le luci della centrale elettrica, Luciano Ligabue, Lo Stato Sociale, i Massimo Volume, Milva, Gianni Morandi, Andrea Nardinocch­i, Nek, i Nomadi, gli Offlaga Disco Pax, Laura Pausini, Luciano Pavarotti, Nilla Pizzi, Vasco Rossi, i Sangue Misto, Scialpi, gli Skiantos, Arturo Toscanini, Giuseppe Verdi, Nina Zilli e Zucchero. In mezzo all’elenco alfabetico di cantanti, musicisti e compositor­i di ogni genere, nati e cresciuti in Emilia-Romagna, alla lettera L c’è Elettra Miura Lamborghin­i. «La mia terra è musica, certo. Ma la mia l’ho cercata fuori: se si parla di reggaeton, scusate, in Italia l’ho portata io», rivendica.

Su Instagram, dove quasi 6 milioni di persone la seguono ogni giorno, ha mostrato una location sul Lago di Garda per il suo matrimonio con il dj olandese Afrojack, previsto per settembre. «Ma è tutto ancora sospeso, per il coronaviru­s», confessa. Non ha mai davvero pensato, però, di sposarsi nella sua terra, a Bologna, come sarebbe piaciuto a papà Tonino, per onorare la tradizione. «Decido io». E anche se non si sposa lì, «penso che la mia città sia perfetta per viverci, si sta benissimo, è a misura d’uomo, è verde… Certo, con il nostro stile di vita sarebbe un casino». Non ha tutti i torti: lo stile di vita, lavoro a parte, è un aereo personale che porta i due fidanzati a raggiunger­si in ogni angolo del mondo, dove lavorano o dove abitano, da Miami ad Amsterdam, da Milano a Dubai.

Se le chiedi quale sia il suo posto del cuore, il primo che le viene in mente è la metropoli della Florida, «perché è lì che ho scoperto la passione per la musica latina e il reggaeton». Se le chiedi qual è la sua «casa», però, ti risponde: «Il mio cavallo, Lolita, con cui sono cresciuta. Sta da sempre in un maneggio di Bologna. Quindi tornare lì, da lei, e fare una passeggiat­a sui colli mi fa ridiventar­e bambina, era lì che andavo anche a 10 anni per liberare la mente».

Quindi ritorniamo a Bologna. Ha dei posti «speciali» in città? «Tutte le volte che torno mi godo la vita, e il mio fidanzato l’ho preso per la gola. Non che abbia il tempo di tirare la sfoglia, anche se nonna Luciana me l’ha insegnato, però lo porto nelle osterie tipiche, dove l’ho tramortito con mille dolci».

D’estate andava in riviera romagnola?

«Sì, passavo l’estate là, nella casa di Riccione (in alto, sul bagnasciug­a da bambina, ndr). Ho dei ricordi bellissimi, le nottate in spiaggia, la discoteca. Quando hai 16 anni e gli ormoni a palla, i primi amori, i bagni alle tre di notte con l’acqua ghiacciata... Ho nostalgia, rifarei tutto mille volte».

Che rapporto ha con Riccione?

«Adesso ci torno per lavoro, e l’accoglienz­a è sempre calorosiss­ima. Non vedo l’ora di tornarci da mamma, se avrò dei bimbi».

Ci sta pensando?

«Macché. In questo momento spostarsi è difficilis­simo, e io e il mio ragazzo siamo spesso separati. Sa come si dice dalle mie parti? Facciamo come quelli di Faenza».

Ossia?

«Facciamo senza».

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