Vanity Fair (Italy)

IL SOGNO ABITA QUI

La CALABRIA poetica, fatta di visioni che si realizzano e di tante persone speciali

- Di MIMMO CALOPRESTI

a mia Calabria è Tonino Gioffrè, amico del Greco e profeta del gusto. Rientrato a vivere nella sua terra in cerca di pace, abbandonan­do la troppo produttiva Milano. I suoi abbinament­i originali in cucina deliziano gli occhi e mandano in visibilio il palato. Dalla sua terrazza a Santa Barbara, spalancata su Scilla e Cariddi, il mare dai riflessi violacei è un lago immobile, sezionato dalle lunghe scie delle imbarcazio­ni che cacciano il pesce spada nello Stretto.

La mia Calabria è Chianalea, borgo di pescatori, con le case dentro il mare, quartiere di Scilla. Nel porticciol­o sono parcheggia­te le ultime barche che fiocinano il pesce spada mentre attraversa lo Stretto. Si tratta di caccia e non di pesca, ci tengono a dire tutti da queste parti, partecipan­o alla caccia intere famiglie che con lo sguardo individuan­o la preda e hanno nel lungo braccio del fiocinator­e l’utilizzato­re finale, appostato nella passerella a sbalzo che corre sopra le onde del mare. È la femmina che viene inseguita per avere con facilità il maschio che non abbandona il suo amore fine alla fine. Lo sguardo sullo Stretto è immersione in un paradiso di luce.

La mia Calabria è Africo. Luogo irraggiung­ibile come l’Eden, si può solo sognare. Bisogna attraversa­re le gole dellA’ spromonte per arrivarci, bisogna muoversi lungo sentieri impervi insieme alle capre. Quando si raggiungon­o i suoi ultimi ruderi che si mischiano con una vegetazion­e selvaggia, compaiono i resti di una civiltà scomparsa, da qui sono passati i Greci e probabilme­nte prima di loro popolazion­i nomadi che arrivavano dallA’ frica, luoghi antichi così nel mondo sono pochi. In quei posti c’è l’origine del mondo.

La mia Calabria è Mimmo Lucano, che dalla sua Riace guardando verso il mare un giorno vide arrivare i Bronzi, guerrieri greci dal corpo perfetto e inossidabi­le. E poi sulla stessa rotta di Ulisse comparvero i curdi e ancora tanti altri da terre lontane. Non più guerrieri ma uomini, donne e bambini affamati, perseguita­ti, feriti. Strappati ai loro domicili naturali in fuga e naufraghi. Mimmo Lucano sulla grande spiaggia sabbiosa e lucente, con i riflessi del mare che gli ferivano gli occhi, li accolse e se li portò a vivere nelle case abbandonat­e nel paese antico. Ritorna la vita là dove c’era l’abbandono dell’emigrazion­e ininterrot­ta che quei popoli hanno intrapreso centinaia di anni fa. Tutto svanì quando una legge ingiusta fermò il sindaco degli ultimi. Ora Mimmo Lucano è tornato da innocente a vivere nel borgo antico, a testimonia­re la verità della sua leggenda: l’umanità non si ferma a largo come tentò di fare un ministro dell’Interno leghista, ma va accolta e rifocillat­a.

La mia Calabria è Gerardo Sacco che da ragazzo poverissim­o, per sfuggire ai pericoli della strada a Crotone, capitale della Magna Grecia, si mise in testa di fare gioielli, cominciò sulla spiaggia a incastonar­e i ciottoli che arrivavano dal mar Jonio imprigiona­ndoli nel fil di ferro, facendoli diventare preziosi per storia e originalit­à. La ricchezza del materiale è levigatura

Ldei secoli e la rappresent­azione dei miti, delle storie che lo formano. Quando ormai era diventato l’orafo preferito di Liz Taylor, lo incontrai a Le Castella davanti al castello Aragonese dove Pasolini girò Il Vangelo secondo Matteo e Mario Monicelli Brancaleon­e alle crociate, in un luogo chiamato Annibale dedicato al grande condottier­o africano che sembra sia passato da lì insieme ai suoi elefanti. Lo scrutai a lungo e alla fine capii a chi assomiglia­va quell’uomo con quella bella faccia da attore. Allungò la mano e disse sono Gerardo. No sei Gérard, assomigli a Gérard Depardieu mi venne da dirgli.

La mia Calabria è Peppe Valarioti, insegnante e politico onesto ucciso dalla ’ndrangheta quarant’anni fa: simbolo dell’antimafia e della meglio gioventù, che si impegna ma non si piega. Peppe Valarioti era di Rosarno e fu ucciso quando aveva trent’anni la sera che festeggiav­a la vittoria del Pci alle elezioni. Rosarno è un paesino che oggi si può ricordare solo per essere uno svincolo della Salerno-Reggio Calabria e che quando ero bambino raggiungev­o a piedi da Polistena insieme a mia nonna Rosa, che accompagna­vo in una lunga camminata che all’andata lei faceva con in testa un grande cesto di vimini vuoto, e al ritorno ricolmo di verdure che si rivendeva il giorno dopo al mercato, un’economia povera ma dignitosa, quanto bastava a sfamare una famiglia. Passavo quelle ore di cammino tra gli agrumeti e gli oliveti, inalando l’odore della terra, della mia terra, che ogni tanto in particolar­i circostanz­e ritorna a invadermi i sensi. Oggi a Rosarno c’è un campo d’immigrati, una baraccopol­i di poveri che tra lamiere e cartoni cercano di ripararsi dalle intemperie e dalla vita grama che gli è toccata. Permettere che non continuass­e a esserci la schiavitù nella terra di Calabria, per questo è stato ucciso Peppe Valarioti.

La mia Calabria è Marcello Fonte, attore, vincitore a Cannes con Dogman di Matteo Garrone. Che ha vissuto la sua infanzia nelle baracche costruite da suo padre con materiali di risulta, risanando dall’immondizia il letto di una fiumara. Una notte confuse il rumore della pioggia che batteva sul tetto di lamiera con quelli degli applausi che avrebbe ricevuto molti anni dopo sul palco del più prestigios­o festival di cinema del mondo. Le baracche di Marcello guardano verso il mare dello Stretto e sono circondate da un giardino rigoglioso.

Quando vidi quel posto la prima volta pensai che la Calabria è il luogo del sogno.

n una scena di The Irishman, la voce di De Niro (sangue molisano) racconta di un certo Tony «Tre Dita» Castellitt­o strangolat­o da Sally Bugs perché era diventato troppo forte nel sindacato… Quando abbiamo visto il film, io e i miei figli ci siamo piegati in due dalle risate immaginand­o un nonno Tony immigrato in America e diventato in poco tempo esponente di spicco della malavita italoameri­cana.

Le cose sono andate in maniera meno avventuros­a, però. Arturo, mio padre, nato a Campobasso, alla fine della guerra emigrò sempliceme­nte a Roma con i suoi quattro figli e la moglie. Per un puro caso, o per paura dell’oceano, non se ne andò in America come molti molisani in quegli anni. Io, figlio del miracolo economico, sono nato diversi anni dopo, ma da sempre ricordo i racconti di Arturo e dei miei fratelli sugli anni trascorsi in Molise. Erano racconti teneri, divertenti, grotteschi ma legati insieme da una umanissima e quasi violenta nostalgia. Perché il Molise è terra di nostalgia, come del resto tutta quell’Italia per decenni abbandonat­a. È una terra di bellezze sorprenden­ti, dalle spiagge di Campomarin­o alle montagne del Matese. Quel mare, quelle montagne hanno forgiato il carattere di questa straordina­ria gente. E forse, ancora oggi, il loro ruvido inconscio vive di rendita nel ricordo di quando i loro antenati Sanniti costrinser­o

Ii Romani a piegarsi sotto il giogo delle forche caudine. È un orgoglio che solo i poveri possono permetters­i. Sono tornato in Molise molti anni dopo, quando decisi di ambientare e girare lì le scene finali di Non ti muovere. Il viaggio di Timoteo e Italia verso le origini di lei. Fu un atto di amore nei confronti della mia famiglia. Del mio stesso sangue.

Ma l’ultimo amico molisano di cui voglio parlare è Agostino. Lo raccolsi appena nato e piuttosto debilitato sotto un albero nelle campagne intorno a Bojano. Durante una delle ultime scene del film girate in quel magnifico sito archeologi­co che è Sepino, l’antica città romana, Agostino sparì. Il circo del cinema stava già smontando le sue tende per ripartire e io ero già rassegnato a non ritrovarlo mai più. Solo all’ultimo momento, l’attrezzist­a (e io gli sarò sempre grato) lo ritrovò rattrappit­o dal freddo nel tepore del vano motore del suo pick-up. Agostino è un gatto, oggi ha diciassett­e anni, le orecchie maciullate dagli scontri di quartiere, il miagolio rauco di un fumatore incallito e ogni sera al tramonto lo trovo sul cornicione del terrazzo. Sta lì per me, ne sono certo. Aspetta che io beva la mia birra, che il sole sparisca, poi se ne va per conto suo. Agostino parla poco come i molisani e quando morirà io piangerò di nostalgia.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy