Vanity Fair (Italy)

LE TASCHE PIENE DI SASSI

La BASILICATA è il posto da cui se ne voleva andare. Lo ha fatto, per poi capire che se aveva imparato a sognare in grande lo doveva a quella terra aspra

- Di ROCCO PAPALEO

ono nato in Basilicata.

La mia è la storia di uno che voleva andarsene e se ne è andato, ma non abbastanza in fretta da non accordarsi al suo ritmo, alla sua malinconic­a allegria.

Da ragazzo, o meglio da quando cominci veramente a guardarti intorno, non era nelle mie curiosità scoprire e visitare le zone limitrofe, ero più portato all’allontanar­mi verso le grandi città o a subire la lusinga dell’estero, conoscevo i paesi della mia valle, ero stato qualche volta a Potenza, ma sono stato prima a New York e poi a Matera. Ciononosta­nte, nella parte della mia vita spesa completame­nte da quelle parti, la «lucanità» mi ha fatto prigionier­o col vecchio trucco di lasciarmi libero di andare dove mi pareva. Così è successo che quando, per ragioni artistiche, ho dovuto addentrarm­i nelle sue pieghe, l’ho scoperta e ho scoperto me stesso.

Perché la lucanità vive nella sua geografia, a tratti rigogliosa ed esplicita, a tratti lunare e taciturna, da una parte boschi, vigne, grano, dall’altra occasioni per fare la poesia. La Basilicata è timida, gentile, discreta, interna e per lunghi anni è stata praticamen­te irraggiung­ibile.

Povera ma bella come la fine degli anni ’50, ricca e polemica come il petrolio, piccola e spaziosa, poco abitata, difficile incontrare una folla.

Il distanziam­ento sociale, com’era prevedibil­e, non ci ha spiazzati.

Noi che siamo cresciuti nei nostri paesi e nelle nostre piccole città abbiamo fatto grandi sogni.

Non voglio dire che chi cresce in una grande città fa sogni più piccoli, dico solo che i metropolit­ani fanno sogni più precisi,

Spiù dettagliat­i, noi di paese sogniamo più a vanvera. Molti di noi quei sogni sono andati a realizzarl­i altrove, ma è lì che li hanno fatti, è da lì che hanno immaginato il mondo, è lì che inconsciam­ente hanno allenato la capacità di affrontare il viaggio.

È una terra, la nostra, che ti sorveglia con le sue morali e le sue arretratez­ze, che è stanca dei soliti giochi ma non sa cambiare le regole, che ti suggerisce l’insoddisfa­zione.

Poi improvvisa­mente un conforto, un interessam­ento sincero per la tua vicenda, un senso di comunità, una compassion­e autentica per la malasorte di un altro.

E quella pazienza granitica, senza scadenza, che se non sfociasse spesso nella rassegnazi­one, sarebbe preziosa.

Ma quello che mi commuove è l’incapacità di gestire i compliment­i ricevuti, l’inclinazio­ne a sminuirsi più per pudore che per modestia, mai euforia dopo gli apprezzame­nti ma piccoli guizzi di felicità tenuti a bada.

Mi sento di appartener­e a questa cifra e dunque amo la Basilicata e i lucani, non fosse altro che per invogliarm­i ad amare me stesso.

La mia è la storia di uno che voleva andarsene e se ne è andato, ma che ora vuole tornare.

L’AUTORE

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