GENTE POCO RACCOMANDABILE...
on Emiliano Restuccia, uno dei truccatori più bravi d’Italia, lavoro da quando lui aveva 18 anni e io ero incinta del primo figlio, quindi 24 anni fa, e conducevo Corto circuito, su Canale 5. Io col mio pancione il giorno della registrazione arrivavo con la metro fino a Gobba e poi prendevo la navetta per Cologno Monzese perché ero alle prime armi in tv e non mi passava neanche per la testa di chiedere un’auto o pagarmi un taxi. Lui, appena arrivato dalla Sicilia, era finito su quel set eretico – si parlava di libri – come rimpiazzo di qualcuno. Ora dice di sé che a quei tempi non parlava nemmeno l’italiano. Io non me lo ricordo perché era muto. Era così riservato che ho scoperto molti anni dopo che dipingeva, quadri affascinanti, bellissimi, ma da allora non ci siamo più lasciati. Se io faccio un programma, o delle foto, mi trucca Emiliano. Perché ha una tale sensibilità per la luce e il colore, oltre che per le emozioni – non dipinge così bene per caso –, che non è la stessa cosa senza di lui.
CNé senza Malta, la sarta di Belo Horizonte, o Andrea, l’assistente di studio pieni di figli e tatuaggi, o Giorgio, il microfonista pignolo. In uno studio televisivo, in un teatro, su un set cinematografico o sul palco di un concerto, dietro le quinte lavora tantissima gente e ognuno ci mette qualcosa di unico e prezioso. Avete presente la serie Boris? Il genio e la cura con cui Mattia Torre e gli altri lo scrivevano e giravano sono il contrario della cialtroneria esilarante che rappresentava, ma una cosa è identica: il rapporto simbiotico che si crea sul set. Solo chi mette il microfono prima della diretta – ed è difficilissimo su quelle camicette di seta – sa quanto siano fredde le mie mani subito prima di andare in onda. Un teatro, uno studio televisivo, sono una casa e quelli che ci lavorano una famiglia. Per tre mesi, sei. Un anno. Poi improvvisamente la famiglia si divide. Riappare dopo tre mesi, sei, un anno, ma si resta sempre una squadra.
Se non siete forti, sicuri e indipendenti, sia emotivamente che economicamente, vi sconsiglio di lavorare nello spettacolo. È un lavoro fatto di adrenalina e attese, di pieni e di vuoti: un ottovolante di emozioni. Ma soprattutto è fatto di grandissima cura, senso di responsabilità e professionalità. Specialmente in chi lavora dietro le quinte e spesso le motivazioni deve darsele da solo. In questa crisi sembra che nessuno se lo stia ricordando. Come se i lavoratori dello spettacolo fossero tornati al Seicento, quando non ricevevano i sacramenti ed erano sepolti in terra sconsacrata, perché alla fine erano giullari, saltimbanchi, gente poco raccomandabile, e allora chissenefrega.