LA CALMA È LA VIRTÙ DEI FORTI
Da più di 30 anni LA LOLLO allestisce i camerini e si prende cura degli artisti. Di loro conosce segreti, ossessioni e manie, ma non li racconterebbe nemmeno sotto tortura. «Perché nel mio lavoro bisogna non esistere. E dire sempre la verità»
a miglior definizione di Lorena Nolli detta La Lollo (con l’articolo) l’ha data Alessandro Baricco quando, dopo averla vista all’opera, le ha detto: «A te da piccolina t’hanno sfilato via il sistema nervoso», perché, qualsiasi cosa succeda, La Lollo è calma. Da più di trent’anni lavora nel backstage dei tour dei concerti, facendo un mestiere che Eros Ramazzotti le ha suggerito e lei ha messo in pratica, e che si chiama «Responsabile camerini e assistente artisti. Di fatto mi occupo di loro e li coccolo, sia i camerini sia gli artisti», dice. Le sue mansioni non le sa elencare tutte nemmeno lei, ma in estrema sintesi lei è quella che sa ricavare, negli squallidi sotterranei dei palazzetti, negli spogliatoi degli stadi o nel niente delle tensostrutture, un’oasi di pace (divani, tessuti, tappeti, candele, cibo) per i cantanti e lì si prende cura di loro: dal bicchiere di Polase contro i cali di pressione all’arnica per la gola a fine concerto, dall’acqua calda della doccia (già aperta quando il cantante è ancora sul palco per i bis) al massaggio ai piedi, passando per la sistemazione e i cambi d’abito. «Faccio tutto, ma non esisto: questa è la mia filosofia. Che deve seguire anche chi lavora con me. Quelle che vogliono fare questo mestiere perché sono fan, per farsi i selfie e i video con l’artista, non funzionano».
Lì, nei suoi camerini, La Lollo vede e sente qualsiasi cosa, ma la discrezione è la sua religione, ed è difficile anche farsi dire i nomi di quelli per cui ha lavorato – «E se poi mi dimentico qualcuno?», si preoccupa. L’elenco poi lo fa, ed è lunghissimo, e comprende tutti i più grandi della musica italiana («Eros, Renato Zero, Pino Daniele, Ornella Vanoni, Ligabue, Elisa, Gianna Nannini, Emma, Renga, la Oxa. Spero di averli detti tutti») e internazionale: Madonna, i Rolling Stones e Bruce Springsteen.
Quando il Covid è esploso, era ovviamente in tour da due mesi e mezzo: con Ramazzotti, in Nord America. È atterrata in Italia il 12 marzo con uno degli ultimi intercontinentali. Pensava che sarebbero ripartiti a breve, e invece sono tutti ancora qua. Forse per nostalgia si presenta al nostro incontro in T-shirt, jeans e un marsupio legato a una coscia.
LCome definirebbe il suo lavoro?
«Farsi un mazzo tanto per creare qualcosa che dopo qualche ora, puff, sparisce. E ricomincia il giorno dopo, altrove. Mi diverte che sia effimero».
Come interpreta i bisogni dei cantanti?
«Ormai li conosco tutti. Ma se c’è qualcuno di nuovo cerco di capirne la personalità senza fare troppe domande. L’unica che faccio è se c’è un colore che proprio non gli piace».
E, sulla base dei suoi sondaggi, ce n’è uno che è particolarmente sgradito?
«Il viola. Pino Daniele era tassativo. Non andavano bene nemmeno le gradazioni di colore, chessò un lilla, un lavanda».
Fissazioni degli artisti che si possono confessare?
«La Nannini ama il bianco, ha avuto un periodo pizzi, ma solo tessuti anallergici. Nel suo camerino creo uno spazio perché possa fare Pilates, e la tastiera va sistemata vicino al trucco perché le può venire voglia di suonare in qualsiasi momento. Bruce Springsteen si accontenta sempre, sta bene anche se lo metti in uno sgabuzzino. Madonna, ma questa è storia nota, vuole un’asse del water nuova a ogni tappa del tour, con tanto di plastica sopra come prova che è appena uscita dal negozio. Meno noto il fatto che, quando era in tour in Italia, spessissimo le signore delle pulizie toglievano la plastica dall’asse, e io dovevo impazzire per comprarne un’altra. Ma lei è stupenda: quando abbiamo fatto Firenze, lei cantava allo stadio, ma abbiamo preso anche il Palasport. Come camerino».
Una richiesta che non è riuscita a esaudire?
«Nessuna, ma posso raccontargliene una che è stata difficilissima. I Rolling Stones prima di un concerto al vecchio stadio Olimpico hanno chiesto un cartonato di Elvis Presley. Ci ho messo ore a trovarlo, ma ce l’ho fatta. Lo volevano per farsi le foto».
Chissà a quante scenate le è capitato di assistere in tutti questi anni di tournée.
«Io mi offro anche come pungiball. Chi è nervoso per il concerto può anche sfogarsi su di me, perché capisco che ci sono momenti un po’ così e ho grandissimo rispetto del lavoro degli artisti. Diverso è se c’è un problema cronico: allora chiedo quale sia. Perché se c’è una cosa importante in questo mestiere è la verità: dire sempre di sì non serve a niente».
Che vita si fa stando sempre in giro?
«Strana, si vive come dentro una bolla in cui i fatti del mondo ti sfiorano appena. Giri anche per un anno, sempre con le stesse persone, a volte ci dormi anche insieme nello sleeping bus. Verso la fine del tour si mangia tutti da soli perché, pure con affetto, non ci si sopporta più. Ci lamentiamo, ma inutilmente perché lo abbiamo scelto tutti di vivere così, un po’ in fuga. Io dormo benissimo nelle stanze d’hotel, quando torno a casa mia invece faccio fatica ad addormentarmi: mi viene l’ansia».
E con l’amore come ci si regola?
«Ti devi mettere con uno che fa la tua stessa vita. Io l’ho fatto: il mio compagno me l’ha presentato Ornella Vanoni. A volte lavoriamo insieme, a volte no. È meglio quando ognuno fa il suo tour».
Si è mai stancata di questo lavoro?
«Un sacco di volte. Prima lo dicevo: basta, smetto. Adesso sto zitta perché sono ancora qua».
Come vede il futuro dopo questo stop forzato?
«Ho pensato che la mia figura professionale potrebbe anche non esistere più, se si faranno meno concerti e se il business sarà meno remunerativo. Ho paura che il mio lavoro possa essere uno di quelli che saltano. Se succederà dovrò vendere i miei 60 bauli pieni di allestimenti. Ma spero davvero di no perché lì c’è tutta la mia vita».
Si può definire amica di qualche artista?
«Forse sì, ma quando siamo lì non siamo più amici».
Ma lei i concerti li guarda?
«Guardo l’ingresso sul palco, sento la gente che urla, faccio il mio gesto scaramantico – so be it, così sia – e mi sento grata. Poi per il resto non vedo niente, giro lì intorno, di solito si sente anche male».